La “transizione ecologica” che ci manca: imparare a unire i puntini

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Si sta concludendo un’estate terribile nella quale il cambiamento climatico ci ha fatto sentire da vicino tutta la sua forza: dagli incendi nei paesi mediterranei (ma anche in Siberia), alle alluvioni in Germania, Olanda e Belgio, fino alla pioggia senza precedenti nel cuore dell’artico. Spazzato via con l’ultimo report IPCC qualunque residuo spiraglio alle teorie negazioniste, resta molta strada da fare per una reale comprensione del fenomeno nel suo complesso tra il grande pubblico.

Anche se la Cancelliera Merkel, riferendosi alle inondazioni che hanno flagellato la Germania, si è spinta ad affermare che “Il tedesco a malapena ha le parole sufficienti per descrivere questa devastazione”, prima ancora che le acque si siano ritirate (o che gli ultimi focolai siano spenti), almeno in Italia queste vicende scivolano nella parte bassa delle homepage dei siti di informazione, come si trattasse di qualcosa che riguarda terre lontane e problemi remoti. L’altra – ovvia e tardiva – affermazione della Merkel “ora le priorità siano clima e ambiente” è caduta in un silenzio assordante. I media relegano la questione a qualche articolo di colore o approfondimento ben nascosto nelle pagine interne, mentre praticamente nessun rappresentante di primo piano dei partiti, del governo e delle Istituzioni ha raccolto sul serio l’invito a collocare l’emergenza climatica in testa all’agenda politica.

Anzi, assistiamo a un fiorire di affermazioni di segno contrario da parte di rappresentanti importanti del governo, che chiedono di ridimensionare gli obiettivi di riduzione delle emissioni, paventandone l’impatto su imprese e lavoro. In realtà, queste affermazioni irresponsabili sono solo la punta di un iceberg: l’Italia è attraversata in lungo e in largo da progetti novecenteschi, per i quali non di rado si punta ai fondi del PNRR, completamente incoerenti con le roboanti affermazioni sulla “transizione ecologica”: nuove autostrade, nuovi aeroporti, nuove estrazioni di combustibili fossili. Sembra insomma che non ci si renda conto del legame tra le drammatiche conseguenze del cambiamento climatico e il modello di sviluppo degli ultimi 200 anni, e soprattutto della necessità di modificarlo in fretta, facendosi carico delle conseguenze.

Oppure, più probabilmente si finge di non vederlo, per non essere costretti a mettere in discussione poteri, interessi e rendite ereditate dal XX secolo. Il mondo dell’informazione deve decidere se continuare ad essere parte del problema, di questa “grande cecità”, o se mettere i cittadini nelle condizioni di “unire i puntini”, interpretando compiutamente i legami tra fenomeni solo apparentemente lontani, per andare verso una transizione non solo industriale e tecnologica, ma anche culturale ed “ecologica” nel senso pieno del termine.