Favola industriale Blues, intervista ad Alessio Di Modica

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Favola Industriale Blues racconta la storia del petrolchimico di Augusta-Priolo-Melilli attraverso la voce dell’attore e regista augustano Alessio Di Modica.

Uno spettacolo teatrale che sta girando tante città italiane, unendo lotte e comitati, che si battono contro l’inquinamento industriale dei loro territori. Da Siracusa a Taranto, e altre ancora in via di definizione per l’autunno. Ne parliamo con il regista.

Come è nato questo spettacolo?

Io e mio fratello Ivano siamo di Augusta. Nostro padre, come tanti altri, lavorava negli impianti e siamo cresciuti all’ombra delle ciminiere. Nel 2001 abbiamo partecipato al G8 di Genova e abbiamo capito l’importanza del racconto. Nel 2002 il nostro primo spettacolo, proprio su Genova, al Social Forum di Firenze. Nasce così la nostra compagnia Area Teatro.

Con quel primo spettacolo, capii l’importanza della narrazione, del mantenere viva la memoria e sentii l’esigenza di narrare il nostro territorio devastato dal petrolchimico. Questo spettacolo lo abbiamo chiamato “Favola industriale Blues” perché ha del surreale. Ci sono elementi delle leggende, delle fiabe, con animali e oggetti parlanti, streghe e magie, ma anche testimonianze reali e storiche, che abbiamo raccolto da un lungo lavoro di ricerca e interviste a persone del posto – operai, ex contadini, ex pescatori. Blues perché ricorda il senso di sradicamento e spaesamento degli schiavi portati in America. In una versione precedente c’era il sax, che appunto suonava il blues. Lo spettacolo che stiamo ora portando nelle sale è una rielaborazione della Favola Industriale che già tra il 2005 e il 2015 ha girato l’Italia.

Vi siete accorti di un filo comune tra le varie realtà che avete visitato?

La grande industria un po’ ovunque. Da Augusta a Marghera e Brindisi, ma anche nel Sud del mondo, ha un modus operandi universale: punta a sradicare la popolazione dalla sua cultura e dalla storia del territorio, dalla bellezza, dai profumi della terra, dalla stessa musicalità della lingua. Per evitare che quel territorio possa pensare ad un altro tipo di sviluppo, si distrugge la possibilità di coltivare, di fare cultura e turismo. Per questo il cunto, il teatro della memoria, è così importante: aiuta le popolazioni che subiscono l’inquinamento a ricordare come si è arrivati a quel punto, per essere più motivate a resistere.

Che cos’è il cunto?

Il cunto è una tecnica tradizionale di narrazione siciliana, il cui ciclo inizia nelle gesta dei paladini di Francia. Tutto il corpo è narrante: si usa un linguaggio poetico, fatto di un dialetto che non è solo siciliano ma potrei dire universale. Dietro c’è un grande lavoro di ricerca sulla lingua, sul cambiamento della musicalità, passando da un contesto agricolo, legato ai campi e al mare, ad un contesto industriale.

Cosa può fare il teatro per le cause ambientali?

Il problema dell’inquinamento è anche culturale. La gente è assuefatta al ricatto occupazionale e quindi accetta di buon grado la devastazione dei propri territori davanti al mito della crescita economica, necessaria e inarrestabile. Bisogna invece creare un nuovo immaginario, diverso da quello colonizzato e creato dopo il boom industriale. Soprattutto, bisogna trasmettere le emozioni e la passione, perché in questa fase storica spiegare i concetti non basta più. Bisogna comunicare le urgenze ambientali attraverso l’arte, la musica il teatro. Ma prima di tutto dobbiamo riprenderci gli spazi culturali.

ReCommon ha coprodotto lo spettacolo. È stata la prima ad avere sostenuto il progetto nella fase di produzione e ha permesso inoltre l’anteprima nazionale. Prossimi spettacoli? Il 27 settembre con la nuova produzione INFINITA POESIA CUNTO PER VICTOR JARA, ospite a Roma dell’ambasciata del Cile in Italia, nelle iniziative legate al 50° anniversario del golpe cileno del 1973.

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