Crisi climatica: se ne parla abbastanza?

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L’analisi di Greenpeace su quotidiani, TG e trasmissioni di approfondimento in Italia

Se ne parla troppo spesso, ma mai abbastanza. La crisi climatica è un’emergenza rumorosa della nostra epoca, eppure si ha la percezione che in alcuni contesti comunicativi il tema stia diventando sempre più di sottofondo. È così?

Greenpeace Italia ha deciso di approfondire la situazione corrente commissionando uno studio all’Osservatorio di Pavia, istituto di ricerca specializzato nell’analisi della comunicazione. Nel corso del 2022, ogni quattro mesi l’Osservatorio ha dunque condotto una rilevazione della copertura mediatica della crisi climatica, con una panoramica sullo spazio che questa emergenza ambientale trova nelle pagine dei giornali e nei palinsesti televisivi italiani.

Durante tutto l’anno, lo studio ha esaminato gli articoli pubblicati dai cinque quotidiani più diffusi – Corriere della Sera, La Repubblica, Il Sole 24 Ore, Avvenire, La Stampa – nonché tutte le edizioni di prima serata dei telegiornali nazionali di sei trasmissioni televisive di approfondimento sui canali Rai, Mediaset e La7[1]. Inoltre, l’analisi ha monitorato le pubblicità di aziende energetiche, del settore automotive, delle compagnie aeree e crocieristiche all’interno delle cinque testate selezionate.

Un esempio di grafico proveniente dal report relativo a giornali, che mostra come solo nel 7,5% dei casi siano esplicitate le cause della crisi climatica. Fonte: Greenpeace.

I risultati dello screening sull’ultimo quadrimestre del 2022 dimostrano che il numero di articoli pubblicati dai principali quotidiani italiani sia diminuito. Non solo: è in calo anche il tono esplicito con cui si parla di crisi climatica ed è scarsa l’attenzione sul racconto delle cause. I TG dimostrano invece un lieve incremento di copertura – tuttavia, meno del 3% dei servizi ne hanno parlato. L’attenzione viene posta specialmente sulla decarbonizzazione, ma si rileva un notevole calo sul racconto delle cause e delle conseguenze – il confronto fra il secondo e il terzo quadrimestre evidenzia un crollo dal 74,7% al 41,4% di notizie che coprono questi aspetti. Infine, nei programmi televisivi di approfondimento il trend si ripete: un incremento del coverage complessivo, a fronte di una minore attenzione sulla comprensione generale del fenomeno.

Greenpeace ha completato lo studio con una “Classifica degli intrappolati”, in cui dà un punteggio ai giornali target della ricerca. Con una scala da 1 a 5, sottolinea quanto all’interno del periodico si parli di crisi climatica e se i combustibili fossili vengano riconosciuti come causa. Se evitano di dare troppa voce e pubblicità alle aziende inquinanti, se c’è trasparenza sui loro finanziamenti.

Fonte: Greenpeace

L’obiettivo di questa analisi di impatto è dunque anche quello di liberare i media italiani dal greenwashing. Una ricerca per sollevare il dibattito pubblico sul mondo dell’informazione e sulla qualità delle notizie che vengono diffuse attraverso i vari canali tradizionali. Lo studio della salute della comunicazione ambientale è tanto fondamentale quanto interessante. Da qui si estende la lente di ingrandimento sul fenomeno: parlare di crisi climatica, un po’ ma non troppo, per dire ma non per capire – è una strategia rischiosa che sposta il fuoco dall’azione-responsabilizzazione di lettori e telespettatori alla loro assuefazione sul tema.

Per scaricare lo studio e approfondire il tema del greenwashing nell'informazione in Italia, visita il sito di Greenpeace.

[1] Analisi condotta su Unomattina, Cartabianca, Mattino5, Quarta Repubblica, L’Aria che tira e Otto e mezzo.