Questione di stili

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di Eleonora Anello

Lo stile di una campagna può influire sulla sua efficacia? Una campagna cruenta può avere più presa di una dai toni soft e pacati? Non esistono ricette giuste e adatte a ogni circostanza. Dipende da diversi fattori.

Nel vasto mondo della comunicazione ambientale, i temi legati all’alimentazione assumono sempre maggiore importanza. Alcune iniziative si concentrano sulla riduzione degli sprechi, altre invece sulla nutrizione al fine di diffondere abitudini più rispettose per l’ambiente.

Gli approcci adottati sono variegati. Rientra a pieno titolo nella serie “horror”, “Chiediti cosa mangi anzi chi mangi”, azione dimostrativa messa in scena a fine giugno per le strade di Trastevere a Roma, dagli attivisti dell’ l’Organizzazione contro la schiavitù animale, OCSA, che hanno riprodotto meticolosamente le scene che si consumano ogni giorno nei macelli. La macabra rievocazione è stata l’ultimo atto di una lunga protesta contro lo sfruttamento degli animali uccisi dall’industria della carne. Immagini forti accompagnate dagli spiacevoli suoni di lamenti di animali agonizzanti destinati alle nostre tavole. E poi manifesti realizzati col sangue che hanno attirato l’attenzione dei passanti e, in conclusione, il consiglio dato dalla voce fuori campo, quello cioè di passare a una dieta vegana.

Una campagna shock di quelle che in Italia sono difficili da vedere, più frequenti invece negli altri paesi europei come in Francia, dove spesso assumono una funzione rieducativa o in Spagna utilizzate come freno inibitorio all’adozione di taluni comportamenti.

Oltre i confini del nostro continente, sono stati adottati approcci più morbidi che prediligono toni più moderati. Nella emergente Cina, paese che rapidamente si sta allineando agli stili di vita dei paesi industrializzati e dove, ultimamente, al contro antiche tradizioni, la carne sulle tavole non manca mai, ci si è agganciati alla moda. Gli animalisti del Peta, il noto gruppo a favore del trattamento etico degli animali, hanno lanciato la campagna “Save a cow. Eat this dress instead” (Salva una mucca. Mangia invece questo abito). Un messaggio semplice, diffuso attraverso Gao Yuanyuan, attrice non soltanto affascinante ma vero e proprio esempio da seguire dopo la sua conversione alla dieta vegeteriana. La testimonial è diventata modella indossando abiti e accessori fatti di vegetali e dando vita a eloquenti immagini servite per diffondere il messaggio. I cinesi hanno così potuto apprezzare un vestito realizzato con foglie d’insalata o una più banale collana di peperoncini. In una intervista alla Reuters Jason Baker, esponente del Peta ha aggiunto dettagli sull’iniziativa: «Abbiamo lavorato sulla campagna con altre celebrità indossando bikini e abiti fatti di lattuga, ma questa è la prima volta che abbiamo avuto una celebrità Cinese. Per garantire che le verdure rimangano fresche e frizzanti durante il servizio fotografico e per ottenere i migliori risultati, abbiamo assunto cinque sarti per lavorare sull’abito».

Due campagne che inneggiano all’abbandono delle carni dai propri menù. Due stili differenti. Forse solo due modi per emergere dalla giungla di messaggi in cui ci districhiamo quotidianamente.

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