“Selvatico Ancestrale”, la mostra di Giuditta Pellegrini

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Selvatico Ancestrale, nel ventre umido della foresta che resiste è la nuova mostra di Giuditta Pellegrini, fotoreporter impegnata in tematiche sociali e ambientali. Un progetto che racconta la silenziosa resistenza delle foreste primarie del mondo. 

Cosa racconta questa mostra?

È una ricerca che porto avanti da 10 anni nei miei viaggi in diversi luoghi del pianeta, documentando le foreste primarie. Oltre alle foto, a corredo della mostra, un video con voce narrante riporta i racconti delle persone che ho intervistato in questi viaggi, persone che vivono a stretto contatto con le foreste, ma anche scienziati e attivisti che si battono per la tutela di questi angoli intatti. Sono voci rielaborate attraverso una drammaturgia da Irene Losch, che segue la direzione artistica. I pannelli per le foto sono in materiale riciclato proprio per ridurre l’impatto ambientale. La mostra sarà esposta integralmente e per la prima volta nella Biblioteca Borges, del Comune di Bologna, il 24 novembre, durante il festival “La violenza illustrata” della Casa delle Donne. Ha il patrocinio dell’Ente Parchi Emilia Orientale. Stiamo facendo un crowd founding per sostenere le spese, e in futuro ci piacerebbe realizzare anche un libro.

In quali luoghi sei stata?

Il primo viaggio, 10 anni fa, è stato in India, nelle isole Andamane, dove ci sono meravigliose foreste di mangrovie che hanno resistito allo tsunami del 2004 ma ancora ne portavano i segni. Nelle isole più piccole abbiamo raccolto le testimonianze degli abitanti che erano sopravvissuti allo tsunami proprio seguendo il comportamento degli animali che in massa si ritiravano al centro dell’isola mezz’ora prima che arrivasse la devastante onda. E’ stato grazie al potente legame con la natura che sono sfuggiti alla morte. Sono stata nell’ultima foresta pluviale in Europa, la foresta di Biogradska Gora, in Montenegro, una foresta vetusta e primaria, dove un gruppo di studiosi (Università di Padova, Montenegro e Montpellier), attraverso la paleoecologia, disciplina ancora poco nota, studiano i residui stratificati per capire come la foresta abbia resistito alle sfide ambientali, dandoci grande ispirazione per il futuro, sulla resilienza ai cambiamenti climatici.  Poi sono stata nella Selva Vergine del Messico ma anche in Italia, nel Monte Pollino, nella Laurisilva  delle Isole Canarie, relitto millenario della vegetazione che un tempo ricopriva il Mediterraneo, dove le popolazioni native matrilineari vivevano in simbiosi con la natura. Fino alle maestose cattedrali verdi del Nord, come la foresta Nera in Germania. Insomma ogni foresta ha la sua storia di silenziosa resistenza e grande saggezza.

Che tecniche usi?

Foto riprese molto da vicino, o dal basso, per raccontare nicchie nascoste, illuminate da fasci di luce, che simboleggiano germi di resistenza.  E’ uno sguardo intimo, di creature del bosco, il punto di vista di un piccolo animale che vive dentro al bosco e si sente tutt’uno con esso.

Quale è lo scopo della mostra?

Nel contesto della crisi climatica, le foreste rappresentano un elemento chiave, la cui salvaguardia può determinare la qualità futura della vita sul nostro pianeta. Viviamo in un mondo saturo di informazioni, in cui è difficile districarsi, la fotografia racconta un’esperienza concreta, diretta, che punge nel vivo delle emozioni ma anche della razionalità. Nella mostra raccontiamo la violenza di un sistema estrattivista e capitalista che si abbatte sulla natura selvaggia e sulla biodiversità che ospita, così come sugli abitanti, in particolare donne e indigeni. Ma il messaggio che vogliamo lanciare è soprattutto quello di speranza e resistenza, perché la natura resiste, indomita e saggia, e noi umani, se vogliamo continuare a vivere in questo pianeta, dobbiamo far pace con la terra.

Nel passato hai fatto altre mostre, qual è la differenza rispetto a questa?

Finora mi sono dedicata soprattutto ai ritratti di attiviste e attivisti, dai No Tav,  alle “Donne con le bandiere”, al progetto collettivo di fotografia durante la pandemia “Pandemica”, poi Aut, sempre attraverso la tecnica del ritratto di esseri umani. In questa mostra non ritraggo più esseri umani ma vegetali. Sono foto realizzate nell’arco di 10 anni, che mi hanno accompagnato in tutto il mio percorso di autodidatta, e si sono evolute con me. Anche per me questa mostra è un ritorno alle origini, una rielaborazione e uno sguardo di speranza al futuro.

Foto: Giuditta Pellegrino