Festival del Teatro a Pedali: Intervista a Daniele Ronco

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Un intero Festival teatrale alimentato dalla pedalata del pubblico: dal 17 al 26 giugno 2022 presso Il Mulino di Piossasco (Via Riva Po, 9 – Torino). Ne parliamo con Daniele Ronco, direttore artistico della compagnia Mulino ad Arte, organizzatore del Festival.

Come mai questa idea e quale messaggio volete trasmettere?

Sono tre gli elementi centrali di questa edizione del Festival Teatro a Pedali: il protagonismo del pubblico; i temi sociali e ambientali, affrontati durante i talk e con la sfilata di abiti second hand a cui ridare nuova vita; i giovani. Abbiamo lanciato due call nazionali per selezionare spettacoli da programmare e una di queste ha visto la premiazione di una produzione under 30, coinvolgendo ragazze e ragazzi nella scelta degli stessi spettacoli. Importante anche l’inserimento di questa produzione nel network di teatro under 30 “Risonanze” e la collaborazione con il “Teatro Affido”.

Che cos’è il Teatro a Pedali?

Si tratta di un format che portiamo in giro da qualche anno. Serve a ridurre l’impatto ambientale, ma anche a coinvolgere il pubblico. In pratica, durante lo spettacolo, il pubblico a rotazione pedala 15 biciclette collegate ad un sistema di cogenerazione elettrica che permette la produzione di energia necessaria per alimentare l’impianto audio e luci del palco. Abbiamo anche vinto un bando che ci aiuterà a esportare il Teatro a Pedali in 10 Paesi europei: noi forniremo il kit ingegneristico e la consulenza, e le associazioni locali costruiranno le loro biciclette.

Con la tua Compagnia da tempo divulgate messaggi ambientali: qual è la strategia comunicativa più efficace a tuo parere?

Bisogna cercare di colmare il gap tra mondo umanistico e scienza, fare breccia nella sensibilità persone, trasformare la compassione in preoccupazione vera. L’essere umano deve sentirsi toccato in prima persona, altrimenti non si muove. Non bisogna quindi essere né nichilisti, per cui “tutto è perso“, ma neppure instillare troppi sensi di colpa, altrimenti si rischia il rigetto.

Una volta un mio amico mi disse: “Tanto la sostenibilità non fa show“. Ho deciso di raccogliere la sua provocazione e col teatro suscitare empatia e non distanza. Noi proviamo a prendere per mano il pubblico e fargli toccare con mano la realtà del problema: dalla vera preoccupazione sorge così anche spinta all’azione.

Non è facile, non tutti colgono. È un cammino, un migliorarsi continuo – per noi così come per il pubblico. Ma quello che è fondamentale da parte di noi artisti è la coerenza. Non si può declamare rispetto dell’ambiente e poi fare un festival ad alto impatto ambientale.

Il tuo primo spettacolo è stato “Mi abbatto e sono felice” nel 2015.  

Ero in sella ad una vecchia Bianchi e mentre autoproducevo energia per lo spettacolo, raccontavo e raccontavo…. Per quello spettacolo ho avuto 4 premi e 200 repliche. Per la prima volta avevo portato i valori della decrescita felice sul palco.

Film e libri ispirano i miei spettacoli. Ad esempio il bellissimo film “Il Pianeta Verde” di Coline Serreau, ha ispirato “Il grande giorno“. L’ultimo spettacolo è invece la storia di coloro che sono costretti a rivoluzionare la loro vita per la crisi climatica, sulla base del libro di Fabio Deotto, “L’altro mondo” – debutterà il 1 settembre al Festival di Todi, insieme al format del Teatro a Pedali.

Durante il Festival il pubblico sarà coinvolto?

Sì, ci sono momenti esperienziali in cui lo spettatore viene posto al centro della performance. L’edizione di quest’anno ha infatti l’obiettivo di creare un legame sempre più stretto con le persone.

In quest’ottica sono stati pensati la “Cena in silenzio”, “Phi Tuning” (concerto armonico one-to-one) e “Ridare corpo alla natura”. Eventi che rendono lo spettatore protagonista di un’esperienza unica. L’obiettivo, dopo due anni di pandemia e di distanziamenti, è quello di riavvicinare le persone al mondo della cultura e ai rapporti sociali, con incontri che aiutino a sentirsi in armonia con il Pianeta che ci ospita.