Alessandro Marescotti, un professore per la pace e l’ambiente

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Professore di lettere in una scuola superiore a Taranto, fondatore di PeaceLink e autore di vari libri, dal 2005 Marescotti si è occupato tenacemente dell’inquinamento causato dell’acciaieria ex Ilva, contribuendo al maxi processo Ambiente Svenduto. Insignito del “Premio Honoris Causa” per Giornalismo d’Inchiesta, Marescotti è anche referente del progetto Ecodidattica.

Marescotti, qual è il suo stato d’animo dopo la condanna in primo grado dei vertici Ilva per disastro ambientale?  

La sensazione è quella di partecipare ad una lotta di Resistenza, con la forza nonviolenta della ragione, insieme a tanti altri concittadini. Una lotta dal basso, per la salute e l’ambiente. Purtroppo il Consiglio di Stato ha proprio in questi giorni negato lo spegnimento dell’area a caldo (richiesta dall’ordinanza del sindaco di Taranto). Una sentenza favorevole alle ragioni aziendali. Ma noi andiamo avanti, ancora più determinati.

Qual è stato il ruolo di Peacelink nella vicenda Ilva?

Erano i primi anni 2000, gli albori di Internet, il web era un immenso terreno da esplorare, e Peacelink sperimentava una nuova forma di “cittadinanza digitale”. Come Greenpeace aveva i gommoni, noi avevamo i computer. Andavamo a curiosare nei database militari del Pentagono, di accesso pubblico, e scoprimmo che a Taranto veniva prodotta l’8,8% della diossina industriale europea nel 2005. Facemmo subito un comunicato stampa, e l’indomani fu la prima notizia nel TG regionale. Ma nessun politico ne parlò. Fummo tacciati di allarmismo, ci prendemmo anche varie querele. Nessun politico ci aiutava, (con l’unica eccezione di Angelo Bonelli, dei Verdi). Nel 2008 facemmo analisi al pecorino, rilevando valori molto alti, denunciammo la cosa, costringendo la stessa Ausl a fare ulteriori analisi, trovando valori ancora più alti. Chiedemmo indagini epidemiologiche, ma Vendola non dette seguito alle nostre richieste.

I decreti salva-Ilva si sono susseguiti negli anni, da parte di governi di ogni colore politico, nonostante il rischio sanitario inaccettabile, gli eccessi di mortalità, i dati dell’incidenza di tumore, nonostante le sentenze della magistratura e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Lei parla spesso di Razzismo ambientale…

Si, Taranto è stato un caso di razzismo ambientale. I tarantini sono stati trattati in Italia proprio come i neri e gli ispanici negli USA, vicino ai ghetti si costruivano gli insediamenti industriali più inquinanti. La mancanza di solidarietà nazionale alla tragedia di Taranto, è uno dei fatti che più mi rattristano.

Anche per questo hai fondato anche la Rete Ecodidattica?

Senza l’apprendimento dei diritti ambientali e senza il loro esercizio, che spesso è conflittuale con il potere, non si cambia la società. Vogliamo collegare ambiente e salute, perché i siti inquinati sono siti dove vengono incubate malattie terribili. Per questo nel 2015 è nata la Rete Ecodidattica, per promuovere la formazione dei docenti e degli studenti, e finora aderiscono 45 scuole. Usiamo bacheche digitali coloratissime, con cui ogni nodo della rete condivide iniziative, contenuti e idee. Trattiamo anche di inquinamento industriale, impatti dei metalli pesanti sui bambini, diossina negli alimenti che mangiamo, e così via. La cornice entro cui abbiamo collocato Ecodidattica è stata quella dell’Agenda ONU 2030 e ai suoi obiettivi per la sostenibilità ambientale.

Come reagiscono i suoi studenti a queste lotte?

Un giorno un mio studente, in uno dei tanti periodi bui, mi disse, guardandomi dritto negli occhi: “Prof, avete lottato tanto, ma non sta cambiando niente”. Come una sfida, come a dirmi “Sta crollando tutto quello che ci hai insegnato”. Lì per lì, non seppi cosa rispondere. Poi lessi ai ragazzi un testo di Anna Maria Mozzoni la leader delle lotte per l’emancipazione delle donne, che morì prima di vedere il frutto delle sue lotte. Dissi ai ragazzi che i momenti bui ci sono in ogni movimento e resistenza, che però le idee giuste vanno avanti. Proprio mentre dicevo quelle cose ai ragazzi, le indagini stavano ad una svolta. Mio padre, che era partigiano, non mi ha mai voluto vedere sconfitto o depresso, devo a lui la forza di andare sempre avanti.