La guerra contro il negazionismo climatico si combatte sul web. Ma conosciamo il campo di battaglia?

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Alzi la mano chi non ha mai sghignazzato di fronte alle bislacche argomentazioni dei terrapiattisti, incredibile insulto alle nozioni scientifiche di base che ognuno dovrebbe avere acquisito alla scuola dell’obbligo. Pensavamo di esserci lasciati alle spalle questa diatriba con l’oscurantismo medievale, che aveva portato Galileo a un passo dal rogo, invece ci siamo trovati d’un tratto in un surreale dibattito che coinvolge un numero impressionante di persone. Quali sono i veri motivi dell’improvvisa crescita di questa “moda” pseudoscientifica (e di tante altre), che vede, in pieno XXI secolo, l’adesione di circa il 7% della popolazione negli Stati Uniti? E che cosa collega questa questione al negazionismo climatico, che ancora oggi si oppone alla presa di coscienza collettiva di una sfida epocale come il global warming?

Negazionismo climatico

L’incontrollabile diffusione delle fake news, che impatta molti argomenti decisivi per il futuro, rappresenta una sfida cruciale per la collettività contemporanea, ancora lontana dal trovare anticorpi in grado di rispondere a questa vera e propria malattia civile e culturale.

Secondo una recente ricerca il campo di battaglia è nel cuore della comunicazione contemporanea, il leggendario algoritmo, capace di guidare consumi, condizionare elezioni, modificare abitudini, la cui ricetta è appannaggio di pochi eletti, una specie di pietra filosofale 4.0. In questo caso sotto la lente è YouTube, che da piattaforma di condivisione video si è ormai trasformato in un social a tutti gli effetti, oltre ad essere il principale motore di ricerca attraverso il quale i più giovani indagano il mondo.

Slogan semplici

Chi si occupa di divulgazione e comunicazione ambientale, specialmente se nato nel XX secolo, è troppo spesso ancora immerso in un immaginario fatto di giornali, televisione, pieghevoli divulgativi e lezioni nelle scuole. Si tratta di strumenti ancora efficaci, anzi imprescindibili, ma è venuto il momento di calpestare davvero il terreno digitale, cercando di conoscerne intimamente i meccanismi e di utilizzarli a favore di messaggi scientificamente solidi.

Certo, i negazionisti e gli spacciatori di fake news partono in vantaggio, potendo diffondere senza pensarci troppo slogan ipersemplificati e titoli ad effetto, che attirano facilmente molti click e sono quindi premiati dall’algoritmo. Né ci si può aspettare che le multinazionali del web intervengano, se questo rischia di intaccare i loro esorbitanti profitti. La sfida è inoltre esponenzialmente più faticosa per chi ha l’ambizione di rispettare la fatica degli scienziati e l’intelligenza di chi ascolta, raccontando la complessità dei fenomeni, semplificandoli senza banalizzarli.

Ma si tratta di una battaglia dalla quale non ci si può ritrarre, perché in gioco c’è la consapevolezza delle sfide che il cambiamento (e il negazionismo) climatico mette di fronte al genere umano. Sfide rispetto alle quali solo una collettività informata e coinvolta potrà promuovere le decisioni urgenti, radicali e coerenti che servono.

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