L’ambiente in Costituzione: la parola ai giuristi

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Nei giorni scorsi il Parlamento ha approvato un’importante riforma, che introduce la tutela dell’ambiente e degli animali tra i principi fondamentali della Costituzione. I media hanno per lo più raccolto le dichiarazioni e i commenti di partiti e organizzazioni interessati, ma ben pochi hanno approfondito la novità.

Ecco perché abbiamo interpellato una giurista che di questi temi si occupa da anni: Paola Brambilla, coordinatrice del Comitato Giuridico del WWF Italia e della Commissione VIA (Valutazione Impatto Ambientale) del Ministero della Transizione Ecologica.

Avvocato, per cominciare ti chiederei di riassumere a beneficio di noi profani la portata di questa riforma, al di là della formula “l’ambiente in Costituzione”, che tutti abbiamo letto.

Ricordo anzitutto che l’ambiente era già presente nella Costituzione: la riforma del Titolo V attribuiva allo Stato la definizione dei criteri minimi di tutela ambientale, era quindi una semplice ripartizione di competenze tra Regioni e Stato. Intendiamoci, era già uno strumento importantissimo, che in questi anni ha permesso tante volte di impugnare quei provvedimenti regionali peggiorativi rispetto ai criteri minimi stabiliti dalla Legge in materia ad esempio di caccia, inquinamento, acqua, rifiuti.

Non vanno poi dimenticate le norme Europee, ad esempio il trattato di Lisbona sulla tutela degli animali, o la Carta Europea dei Diritti Fondamentali che sancisce l’obbligo per gli Stati di tutelare l’ambiente. Ecco perché si è deciso di aggiungere questo importantissimo tassello tra i principi fondamentali che indirizzano l’azione dello Stato.

Trovo particolarmente rilevante, tra l’altro, la scelta di integrare questo principio nell’art. 9, che fa riferimento alla promozione della ricerca scientifica. Personalmente ritengo inscindibili le categorie della Scienza e del Diritto nel perseguire la salvaguardia dell’ambiente.

Da ultimo, certo non per importanza, sottolineo il principio della tutela delle generazioni future, che ci impegna a non accollare il deficit ecologico a chi verrà dopo di noi.

Ecco, su questo mi soffermerei. Per chi fa comunicazione ambientale il dovere di tutelare le generazioni che verranno è ormai un concetto acquisito, parte integrante della crescente attenzione collettiva per la sostenibilità. Tra i giuristi invece la cosa non è così ovvia: come riconoscere diritti a qualcuno che ancora non è nato? Questa modifica della costituzione spazza via questi dubbi?

Oggi viene sancito che nessuna legge potrà più violare l’interesse delle generazioni future a non ritrovarsi sulle spalle le conseguenze del deficit ecologico. Anche questa non è una novità assoluta: già il Codice dell’Ambiente del 2006 fa riferimento ai diritti delle generazioni future, e nella Costituzione il principio del pareggio di bilancio è stato dettato dalla necessità di non lasciare un fardello di debiti a chi verrà dopo di noi.

A proposito di economia, l’altra parte della modifica riguarda l’art. 41, dedicato all’iniziativa economica privata.

L’art. 41 sancisce la libertà d’impresa e i limiti che questa non deve superare: non può essere contraria a utilità sociale, sicurezza, libertà, dignità umana.  Finora si limitava a questa dimensione individuale, figlia dell’impronta sociale e cattolica dei Padri Costituenti. Oggi vengono aggiunti salute e ambiente, e non a caso nella nuova stesura vengono prima, proprio perché abbiamo capito che quando vengono meno, non è immaginabile il benessere individuale. Come logica conseguenza, al secondo comma dello stesso articolo 41, ai criteri che ispirano l’intervento dello Stato nell’economia, alle finalità sociali vengono aggiunte quelle ambientali.

Questo mi sembra cruciale: combattiamo tutti i giorni la narrazione che contrappone la salvaguardia dell’ambiente allo sviluppo economico e al lavoro. Pensiamo ad esempio alla vicenda di Taranto o alle recenti discussioni sulla transizione elettrica dell’industria automobilistica. La riforma è il punto di partenza per superare questo conflitto?

A me sembra addirittura un punto di arrivo, frutto di un processo di maturazione delle Corti più alte del nostro sistema giuridico. In tante occasioni la Cassazione e la Corte Costituzionale hanno sancito come l’iniziativa economica non possa calpestare gli altri diritti fondamentali, tra cui quello alla salute, che a sua volta in diverse pronunce è stato definito inscindibile dal diritto a vivere in un ambiente sano.

Ma per tornare alla tua domanda, come si trova il punto di equilibrio? Di certo non decidendo in modo ondivago, un po’ in una direzione e un po’ nell’altra. Finalmente si è stabilito un ordine di priorità, che apre la strada ad interventi pubblici anche drastici che portino verso la transizione ecologica.

L’interesse della tutela ambientale sarà sempre prevalente, non per ragioni etiche o ideologiche, ma sulla base delle evidenze scientifiche, che definiscono gli standard da applicare. Qui a guidarci non sono tanto i principi fondamentali, che sono importanti ma devono fare da sfondo, ma l’applicazione concreta e quotidiana delle norme e dei risultati del progresso scientifico e tecnologico nei singoli processi amministrativi.

Dal punto di vista culturale, il successo è avere tolto l’accezione negativa al concetto di limite. La consapevolezza dei confini planetari, e dell’imperativo di non superarli, fa sì che il concetto di limite non sia più un peso, ma un obiettivo virtuoso, che ci permetta di modificare il nostro modello di produzione e consumo, passando da un approccio quantitativo a uno qualitativo.