‘Piantare solidarietà, raccogliere resistenza’: l’iniziativa dei contadini senza terra

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“Una campagna di solidarietà per sostenere le azioni solidali messe in atto dal Movimento dei lavoratori rurali Senza Terra (MST) per aiutare persone e famiglie brasiliane in un momento di grande difficoltà”. Così il fotoreporter italiano Giulio Di Meo introduce alla campagna Plantar Solidariedade. L’iniziativa è frutto del movimento contadino Sem Terra e nasce in risposta alle criticità emerse in Brasile a seguito della pandemia. Qui il Covid-19, infatti, ha colpito in modo particolarmente severo, accentuando i divari sociali ed aggravando la condizione di disagio economico per gli individui ai margini della società. Senza dare ulteriori dettagli, approfondiamo il progetto attraverso le parole di Di Meo.

Ciao Giulio, in cosa consiste la campagna che stai promuovendo?

La campagna Plantar Solidariedade è un’iniziativa del movimento brasiliano Sem Terra. Un movimento nato circa 40 anni fa in Brasile per lottare per una Riforma Agraria popolare e per i diritti dei contadini senza terra. Questi chiedono quindi l’esproprio delle terre dei latifondisti o di quelle incolte di proprietà statale. In particolare, lo scopo della campagna è stato, da un lato, sostenere i più sfortunati e, dall’altro, dare vita ad un movimento di protesta contro le posizioni del presidente Bolsonaro e, in generale, contro le politiche del governo. Coltivando la terra, cucinando pasti e distribuendo beni di prima necessità – tra cui mascherine protettive – ai più bisognosi, l’iniziativa ha espresso solidarietà ai più colpiti – seppur invisibili – dalla pandemia.

Come hai scelto di dar seguito a questo progetto?

Personalmente collaboro da quasi 15 anni – dal 2007 – col movimento Sem Terra. Ho realizzato con loro il primo workshop di fotografia sociale e poi, quasi ogni anno, lo abbiamo ripetuto. Il progetto recente, invece, ha voluto mettere insieme un po’ di realtà italiane che hanno anche hanno collaborato con loro. Di base, ho promosso una raccolta fondi per sostenere la loro campagna Plantar Solidariedade. Questo, sia attraverso donazioni sia tramite la vendita di un libro che raccoglie una serie di ritratti da me realizzati nel corso del V Congresso dei Sem Terra. Abbiamo poi organizzato, a Bologna, delle rassegne di proiezioni fotografiche che si chiamano Reportage in Cortile. Credo che la fotografia oltre a denunciare e ad informare deve qualche volta impegnarsi a fare qualcosa di concreto. Al momento abbiamo raccolto poche centinaia di euro, ma è già qualcosa. Questi soldi, una volta inviati in Brasile, contribuiranno già a sfamare chi è in difficoltà.

L’iniziativa ha anche una componente ecologica, giusto?

La campagna ha una forte vocazione ambientale ed ecologica. I promotori, cioè il gruppo Sem Terra, è fatto da contadini, ma anche da economisti e attivisti politici, che da quando son nati predicano l’agroecologia. Si oppongono quindi ai grandi proprietari terrieri e soprattutto alle monocolture che stanno devastando l’ambiente naturale brasiliano. Sono per la protezione della foresta amazzonica, così come sono impegnati nella tutela ambientale nel complesso. Un mio altro progetto – sempre in collaborazione con loro – ad esempio, ha proprio voluto documentare sfide di questo tipo. Il libro Pig Iron racconta, attraverso una serie di scatti, l’impatto ambientale di una miniera di ferro nel Nord Est del Brasile. Impatto che va dall’estrazione al trasporto lungo una ferrovia di 900 km che conduce al porto di São Luís. I Sem Terra, insieme ad altre realtà, da anni lottano contro la multinazionale che gestisce la miniera, cercando di limitare i danni che questa sta affliggendo al Paese.

Una campagna che racconta un contesto sociale ai più sconosciuto. Migliaia di persone in difficoltà che trovano però aiuto nella fotografia e nella solidarietà altrui. Un progetto che è solo una piccola parte di un movimento sociale più ampio, presente oggi in 24 stati brasiliani su 26, e che coinvolge 370.000 famiglie insediate, 100 cooperative, 96 agroindustrie, 1900 associazioni e 100.000 famiglie accampate. Un impegno collettivo finalizzato a chiedere il riconoscimento di diritti tanto essenziali quanto negati nonché la tutela ambientale in nome di un’agricoltura diversa, popolare e sostenibile.

Credits: Foto scattate da Giulio Di Meo