Comunicare un consumo di carne più equilibrato: il progetto “Carni sostenibili”

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carni sostenibiliSono passati pochi mesi da quando l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha diffuso dati sul consumo di carne che i media italiani hanno fin da subito raccolto con sensazionalismo, diffondendo il timore di un rischio per la salute.

A distanza di qualche tempo non se ne parla più. Ma c’è chi di carne parla tutto l’anno e ne comunica la sua “sostenibilità”. Nato dalla comunione di intenti delle tre principali associazioni di categoria, Assocarni, Assica e Unaitalia, il sito www.carnisostenibili.it si dedica al mondo legato al consumo di carne e si offre di trattare in modo trasversale tutti gli argomenti inerenti, con l’intento di fornire un’informazione, a detta dei suoi curatori, più “equilibrata” su salute, alimentazione e sostenibilità ambientale.

Envi.info ha intervistato Aldo Radice, condirettore di Assica, una delle tre associazione di categoria coinvolte nel progetto comunicativo Carni Sostenibili.

Come portale avete scelto di concentrarvi su un argomento specifico ma in modo alternativo. Ci può spiegare da quale punto di vista avete scelto di affrontarla?

Per molto tempo, in Italia, una minoranza ha alimentato una comunicazione anti-carne, con argomenti pseudoscientifici. Dopo anni di attacchi serviva quindi un messaggio moderato e positivo, che ristabilisse una verità scientifica sugli indiscussi vantaggi di una dieta completa, sia dal punto di vista ambientale sia dal punto di vista nutrizionale.
Attenzione, noi non stiamo dicendo di mangiare più carne, ma seguire una dieta equilibrata che la includa. Anche perché questo, come spiega bene la Clessidra Ambientale (non a caso il simbolo del nostro Progetto), non ha ripercussioni significative neppure sull’ambiente, checché se ne dica.

Sulle notizie sanitarie che pongono la carne tra i cibi “pericolosi” per la salute, come vi siete mossi?

In modo molto trasparente, sia perché uscite di questo tipo da parte dell’Oms non sono cosa nuova, sia perché il Progetto Carni Sostenibili si poggia su basi scientifiche più recenti degli studi presi in considerazione dallo Iarc per questa sua monografia.
Ma non è tutto. Secondo i dati dell’Oms, il consumo quotidiano di 50 grammi di carni lavorate e di 100 grammi di carni rosse potrebbe aumentare del 17% il rischio che compaia un cancro al colon-retto. Ma parliamo di un totale astronomico di oltre 1 kg di carne rossa e salumi alla settimana.
In Italia si consumano in media 25 grammi al giorno di salumi e 100 grammi di carne rossa, due volte la settimana: siamo quindi a meno della metà della quantità che l’Oms indica come eccessiva e quindi potenzialmente rischiosa. E non abbiamo neanche iniziato a parlare delle differenze qualitative tra i prodotti consumati in Italia e quelli tipici di altre culture alimentari.
Il Progetto Carni Sostenibili, attraverso la Clessidra Ambientale contenuta nel rapporto “La sostenibilità delle Carni in Italia”, ha rivelato per primo come per avere una dieta corretta sia dal punto di vista nutrizionale che ambientale sia consigliabile consumare al massimo 400 grammi complessivi di carne (bianca, rossa e salumi) alla settimana. Insomma abbiamo consigliato una dieta ancora più equilibrata di quella raccomandata dall’Oms. E lo abbiamo fatto un anno prima.

Com’è possibile fare una comunicazione che sposi ed equilibri sostenibilità ambientale con consumo di carne?

La domanda in realtà è come sia possibile che ormai viene dato per scontato che il consumo di carne sia insostenibile. Se la gente sapesse, oltre il valore nutrizionale, quanta tutela dei territori, del paesaggio e degli stessi animali sta dietro un singolo allevamento forse ci penserebbe su due volte, prima di attaccare un settore a cui si deve così tanto. Non solo a livello sociale ed occupazionale (sostenibilità è anche economica), ma anche ambientale.
Purtroppo, attaccare la carne è molto facile, e il mondo editoriale ha capito che questo fa fare molta audience. Anche perché i luoghi comuni offrono molte possibilità. Un esempio? Quello secondo cui ci vogliono 15mila litri d’acqua per produrre un chilo di carne di manzo: uno dei luoghi comuni che hanno avuto maggiore presa a livello mediatico. Un dato eclatante, che viene ormai dato per scontato essere credibile. Ma è davvero così? In realtà no. Dei 15.500 l/kg utilizzati per la produzione di carne bovina, il 94% è relativo ad acqua evapotraspirata (cioè all’acqua piovana che cade sui campi e sui pascoli e che rientra nel ciclo dell’acqua, nda) la green water; il 4% all’acqua di falda, blue water; e il 2% all’acqua di scarto, grey water. Se tiriamo le somme, i litri di acqua necessari per produrre un chilo di carne si riducono notevolmente. Lo avete mai letto da qualche parte, prima?

Quindi per essere prodotta la carne impatta di più sull’ambiente, oppure no?

La carne è fra gli alimenti con il più alto impatto ambientale per chilogrammo. Ciò è dovuto al fatto che la sua filiera di produzione è molto più articolata di altre. A differenza dei prodotti di origine agricola, infatti, per produrre carne è necessario un “doppio passaggio”: prima si producono gli alimenti per gli animali, poi si avvia il processo di conversione proteica durante l’allevamento degli stessi. Tuttavia appare evidente che confrontare un kg di carne con un kg di insalata non ha nessun senso a livello nutrizionale. Sarebbe come dire che per costruire un ponte un kg di acciaio e un kg di paglia sono equivalenti (e, sì, 1 kg di acciaio ha un impatto ambientale maggiore di un kg di paglia). Occorre sempre più pensare all’impatto ambientale per capacità nutritiva e all’impatto ambientale per quantità di alimento effettivamente consumato: con la Clessidra Ambientale abbiamo cercato di mettere in evidenza tutto questo.
C’è poi la questione delle deiezioni e delle fermentazioni enteriche, che se non gestite al meglio – sfruttandole ad esempio per la produzione di energia, come fanno ormai molti allevamenti – possono comportare un impatto significativo, soprattutto nei confronti dell’effetto serra. Ma sono oggi anche un’incredibile opportunità, come dimostra il fatto che l’Italia è tra i Paesi più all’avanguardia nella produzione di biogas dagli scarti della produzione agricola e degli allevamenti.
Gli aspetti ambientali fanno parte delle caratteristiche naturali delle filiere: una corretta conoscenza dei processi e una trasparente informazione di come sono organizzati permette però di comprendere come si possa puntare a una produzione il più sostenibile possibile valorizzando, ad esempio, le caratteristiche del modello produttivo adottato in Italia, tra i migliori nella produzione sostenibile di carni in tutta Europa.

Maurizio Bongioanni

Clessidra-Ambientale

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