HUMANA: riciclo e commercio solidale diventano trendy

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Giovane, informato, sensibile ai temi del climate change, dell’inclusione sociale: è questo l’identikit del consumatore moderno.

I giovani sono oggi più consapevoli in tema di sostenibilità e quando acquistano un capo mettono al primo posto qualità e sostenibilità.

L’industria tessile è un settore altamente inquinante e comporta un elevato consumo di risorse. Basti pensare che per produrre una T-shirt di cotone vengono impiegati circa 2700 litri d’acqua e prodotti 10 chili di Co2. Senza considerare imballaggio e trasporto.

Per questo la moda sostenibile è una realtà sempre più affermata, e la questione su come ridurre l’impatto ambientale e sociale della filiera di produzione è aperta.

Si stima che per il 2030 il solo consumo di abbigliamento sia destinato a crescere del 65% che, tradotto, significa un incremento del 49% dell’utilizzo di acqua e di agenti chimici, 63% di emissioni in più e una produzione di rifiuti più alta in generale del 61% (dati Fashion For Goods).

Da una ricerca di PwC Italia condotta su Millennials (classe 1980 e il 1994) e Gen Z (classe 1995-2010) emerge che nell’abbigliamento il 60% degli intervistati dà valore alla qualità di un capo quando deve scegliere un marchio. Il 35% del campione è disponibile a pagare fino al 5% in più per un vestito sostenibile sul fronte sociale e ambientale.

E’ in atto, quindi, una “rivoluzione”, che vede il progressivo superamento dell’approccio classico: dall’esclusività del principio di proprietà tradizionale a nuovi modi di accesso al prodotto in grado di contemplare le esigenze sociali e ambientali.

I nuovi modelli tendono ad alimentare l’economia circolare della moda immettendo nel mercato qualcosa che è già stato prodotto e quindi, ormai, è a impatto zero. Riparare il più possibile quello che già abbiamo, indipendentemente da quanto lo abbiamo pagato in origine, ed evitare di comprare qualcosa che ci serve per essere indossato solo una volta. Essere coscienti che più un capo è lavorato più la sua produzione è inquinante ed energeticamente dispendiosa.

Si apre così la nota stampa recente dell’organizzazione umanitaria HUMANA People to People Italia, impegnata nella raccolta di indumenti usati il cui ricavato è impiegato per progetti solidali in Paesi in via di sviluppo.

Agendo sull’onda della “rivoluzione” in atto, HUMANA ha aperto negli anni svariati negozi di vestiti di seconda mano: per ora sono 8 i punti vendita, in quattro città italiane (Milano, Pavia, Torino e Roma), destinati ad aumentare nel 2019.

Di fatto, partendo dal modello dei charity shop inglesi, l’organizzazione ha saputo valorizzare e sfruttare per fini benefici un trend affermato altrove e il suo operato in Italia costituisce sicuramente un ottimo esempio di commercio solidale innovativo.

Inoltre, il servizio svolto può essere considerato un attività di comunicazione ed educazione ambientale: sovente infatti, si ha l’impressione che, per intraprendere un comportamento di consumo sostenibile ed ecologico, si debbano affrontare spese supplementari – per esempio per acquistare prodotti bio, oppure materiali/oggetti adatti per sostituire la plastica, o ancora, pannelli solari, autovetture ibride ecc- quando invece, per cominciare, basterebbe adottare uno stile di vita sobrio, eliminare gli acquisti superflui e riciclare.

Riciclare, anche i vestiti. Ed è proprio questo il punto di partenza dell’attività di HUMANA. Essa offre prodotti che vengono accuratamente selezionati e igienizzati, per poi essere venduti, sovente con un ottimo rapporto qualità-prezzo. L’acquisto ha una doppia conseguenza benefica: infatti, “comprando un capo di abbigliamento o un paio di scarpe non si contribuisce soltanto a evitare il loro conferimento in discarica ma, donando una seconda vita a questi beni, si compie un gesto utile per altre persone, poiché il ricavato dalla vendita viene utilizzato per finanziare iniziative di supporto al benessere delle comunità in Paesi in via di sviluppo”, sempre da nota stampa.

Infine, HUMANA garantisce, a dei prezzi bassi, dei veri e propri “pezzi unici”. Dalle camicie anni Sessanta, alle borse, alle giacche, ai maglioni fino ai jeans a vita alta che inevitabilmente richiamano gli sfavillanti anni Novanta, la gamma di scelta è piuttosto varia arrivando a includere anche abiti di pregio realizzati con stoffe di prima qualità. L’appassionato di moda, curioso e attento ad approfittare dell’offerta, si ritrova così immerso tra oggetti di culto, nel personale processo di creazione dell’agognato outfit perfetto”; i potenziali clienti sono inevitabilmente persone giovani, tra i 20 e i 35 anni, cosiddetti hipster, studenti o giovani lavoratori, come riconosce l’organizzazione stessa. Così, l’aspetto trendy del negozio lo contraddistingue sicuramente, e forse attrae soprattutto una clientela già sensibile alle tematiche ambientali.

Ciò nonostante, HUMANA svolge comunque un’attività estremamente utile, e il suo successo, potrebbe, perché no, portare all’emergere e il diffondersi di esperienze simili in tutta Italia, per tutti i gusti di abbigliamento!

 

Anna Filippucci

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