Il viaggio di Patagonia tra realtà e possibilità

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Ci sono aziende che pubblicano report di sostenibilità per mostrare ciò che hanno fatto, e poche altre che li pubblicano per mostrare ciò che ancora non riescono a fare.

È questa la forza del nuovo Work in Progress Report 2025 di Patagonia, il primo bilancio d’impatto unificato della sua storia. Un documento che non si limita a celebrare risultati, ma espone numeri, limiti, progressi e contraddizioni.

Un atto di trasparenza che raramente si vede nel settore della moda e dell’outdoor, trasformando ciò che potrebbe essere un esercizio autocelebrativo in un racconto onesto del significato di fare impresa ambientale nel 2025.

La Terra è ora il loro unico azionista

Così inizia la descrizione del loro business: un motto che caratterizza l’intero documento.

Nel 2022 Holdfast Collective e Patagonia Purpose Trust acquisiscono l’azienda, una scelta che mira a garantire che i profitti non reinvestiti siano devoluti a progetti ambientali e che ogni decisione aziendale risponda a un’unica, radicale domanda – aiuterà o danneggerà la Terra?.

Questo rende la sostenibilità non un reparto interno o un dipartimento trasversale, ma un principio fondativo che guida governance, scelte strategiche e responsabilità economiche.

Prodotto tra durabilità e contraddizioni

Il capitolo dedicato al prodotto, tra ambizioni e limiti evidenti, mostra come Patagonia continui a basare il proprio modello produttivo su durabilità, riparabilità e materiali preferiti. Propone così capi pensati per durare nel tempo e per ridurre il più possibile la necessità di acquistarne di nuovi.

Tuttavia, il report afferma con una franchezza sorprendente che circa l’85% dei prodotti non dispone ancora di una soluzione definita per gestire il fine vita.

Questo significa riconoscere apertamente che anche una filiera attenta e responsabile rimane intrappolata nella contraddizione fondamentale del settore moda: produrre, anche quando lo si fa “meglio”, comporta inevitabilmente un impatto.

Emissioni: progressi reali contro il macigno dei volumi

La sezione sulle emissioni evidenzia progressi, ma anche un ostacolo significativo. Sebbene l’intensità emissiva dell’azienda sia in calo da anni, le emissioni totali sono aumentate nel 2024. Questo incremento è un effetto diretto dell’ampliamento della produzione e dell’introduzione di nuove linee di prodotto. Il dato dimostra un punto cruciale: nonostante materiali più puliti o processi più efficienti, la relazione tra volumi di produzione e impatti ambientali rimane difficile da spezzare.

Patagonia rifiuta l’uso di offset come scorciatoia contabile, punta alla decarbonizzazione profonda della supply chain e conferma l’obiettivo net-zero al 2040. Tuttavia, riconosce che la transizione rimarrà complessa. Ciò è vero senza un cambiamento sistemico che superi il perimetro della singola impresa.

Il brand come alleato, non come salvatore

Il capitolo sull’attivismo, quando un brand non parla solo di sé, è forse il più coerente con l’identità storica di Patagonia.

Da decenni l’azienda sostiene ONG, movimenti, gruppi locali e progetti di tutela degli ecosistemi, e oggi, grazie alla nuova struttura proprietaria, i profitti non reinvestiti confluiscono direttamente nella protezione del pianeta, senza filtri o distrazioni. 

Il report non esalta l’azienda come protagonista singola, anzi sottolinea che le vere trasformazioni avvengono nelle comunità e nei territori, e che il ruolo del brand è quello di alleato, non di salvatore, aggiungendo una dimensione collettiva che raramente si vede nella comunicazione corporate.

Comunicazione ispiratrice

La comunicazione di Patagonia è forse l’elemento più innovativo del report, distinguendosi per umiltà e autenticità. L’azienda non costruisce un racconto celebrativo, ma sceglie invece una narrazione che evidenzia errori, ritardi, difficoltà e contraddizioni. Afferma apertamente che non esiste un prodotto sostenibile e che ogni scelta implica un compromesso.

Questo linguaggio, accessibile e auto-critico, rafforza la credibilità dell’azienda e introduce un modello di comunicazione ambientale basato sulla trasparenza più che sul branding. Questo approccio invita l’intero settore a rivedere il modo in cui racconta i propri progressi.

Il confronto con il sistema moda è una riflessione implicita in tutto il report. Il problema qui supera il singolo brand: Patagonia è considerata tra le aziende più virtuose al mondo, eppure, essa riconosce di non riuscire a ridurre le emissioni assolute. Inoltre, non ha ancora risolto le sfide del fine vita dei prodotti.

Ne consegue che il limite non è solo nell’impresa, è piuttosto nel modello economico, produttivo e normativo del settore. Patagonia diventa una lente per osservare una verità scomoda: la sostenibilità non può essere delegata alla buona volontà dei singoli, richiede invece politiche pubbliche, standard condivisi e un cambiamento culturale che coinvolga consumatori, istituzioni e filiere.

Da documento tecnico a invito culturale

La conclusione del report ci ricorda che la sostenibilità reale è sempre un processo imperfetto, fatto di tentativi, scelte difficili e percorsi non lineari. La vera forza risiede nella volontà di rendere visibile ciò che non funziona, non solo ciò che funziona.

Patagonia, con questo Work in Progress Report, non propone un modello perfetto, ma mostra una direzione possibile: quella di una trasparenza che non teme di rivelare la complessità, perché sa che solo riconoscendo i limiti si può iniziare davvero a superarli.

La sostenibilità autentica è, appunto, un work in progress: raccontarla significa accompagnare il lettore lungo il cammino, non solo indicare il traguardo.