Un Futurismo 2.0 per la mobilità sostenibile

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Dopo essere stato colpito dai vari scandali dieselgate e indicato come uno dei maggiori responsabili dell’emissione di gas climalteranti e del peggioramento della qualità dell’aria e della vita nelle nostre città, per il settore dei trasporti sembra arrivato il momento di imboccare la strada della transizione. Sempre più spesso leggiamo notizie, più o meno verosimili, di un prossimo superamento dell’auto tradizionale, in particolare diesel, a favore di forme di mobilità più sostenibili. Un passaggio rivoluzionario, che porterebbe enormi benefici ambientali, sanitari e sociali.

A questa discussione sembra però mancare un elemento fondamentale: da quando, un secolo fa, i futuristi cantarono le lodi del “Veemente Dio d’una razza d’acciaio” (*), l’automobile è associata nell’immaginario collettivo a valori che vanno ben oltre la necessità di spostarsi da un luogo ad un altro. Per moltissime persone, la macchina è un prolungamento di sé, lo specchio della propria identità, il manifesto del successo ottenuto nella vita. Per la nostra auto nutriamo spesso sentimenti di affetto, arrivando in molti casi a darle un nome, come si trattasse di un membro della famiglia.

Le aziende produttrici lo sanno bene, le pubblicità delle case automobilistiche parlano poco o nulla delle caratteristiche tecniche del prodotto, concentrandosi invece sulla creazione di suggestioni: bolidi lucenti che sfrecciano attraverso paesaggi incontaminati in giornate dall’aria tersa, su nastri di asfalto impeccabile e con traffico inesistente. Mentre la ragione ci dovrebbe ricordare che la maggior parte di noi guida ogni giorno su strade piene di traffico e buche che solcano pianure grigie di smog e cemento, il cuore si lascia trasportare in un mondo fantastico di libertà, bellezza, successo.

Se vorremo davvero andare verso un nuovo modello di mobilità che ci affranchi dallo strapotere dell’auto privata, non sarà sufficiente pedonalizzare centri storici, costruire piste ciclabili, promuovere il trasporto pubblico. Ci sarà bisogno di una grande mobilitazione comunicativa e culturale, dovrà nascere un “futurismo della sostenibilità” che coinvolga intellettuali, media e istituzioni, per creare un nuovo immaginario collettivo. La transizione potrà dirsi completata quando prendere l’autobus non sarà più il ripiego di chi non può permettersi di andare in macchina, ma la scelta naturale per una persona che voglia considerarsi moderna, libera e civile.

(*) F.T. Marinetti, “All’automobile da corsa”

Rolando Cervi

 

 

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