Una rete di Community Garden per la transizione agroecologica

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Spazi di aggregazione e condivisione, per coinvolgere i giovani nella transizione verso un consumo più consapevole del cibo.

Sono i Community Garden, i giardini comunitari. Mani Tese, insieme a Soulfood Forestfarms e al Corso di Laurea in Geografia, Ambiente e Territori dell’Università degli Studi di Milano, ne ha avviato una rete.

Un’iniziativa che nasce all’interno del più ampio progetto europeo Rebooting the Food System, finanziato dal programma DEAR dell’Unione Europea.

Nell’ambito del progetto, il 20 novembre è stata presentata la collaborazione con un evento nell’agroforesta urbana del Parco Agricolo Sud Milano. Un luogo simbolico per raccontare un nuovo modo di vivere la relazione tra città, ecologia e partecipazione. 

Abbiamo parlato dell’iniziativa con Elisa Lenhard, referente educazione alla cittadinanza globale e advocacy per Mani Tese.

Com’è strutturato il progetto dei community gardens?

La parte dedicata agli orti urbani è solo una delle componenti di un’azione più ampia che Mani Tese sta realizzando in Italia per promuovere la transizione agroecologica. Il progetto nasce nell’ambito del programma europeo Rebooting the Food System, che ha una durata triennale.

Noi lavoriamo da tempo su questi temi, soprattutto in Africa e nel Global South, nei Paesi in cui operiamo e dove realizziamo i nostri programmi sulla transizione agroecologica, un approccio che stiamo portando anche nel contesto italiano.

Gli orti di comunità non sono semplicemente spazi di coltivazione: rappresentano un modo concreto per promuovere il modello agroecologico. Uno strumento di giustizia ambientale, perché favoriscono la partecipazione attiva della cittadinanza.

Soulfood Forestfarms mette a disposizione le competenze tecniche, l’Università sviluppa una ricerca dedicata e Mani Tese coordina la parte di sensibilizzazione e coinvolgimento. L’obiettivo non è limitarsi alla creazione di Community Garden, ma costruire insieme a scuole, associazioni, istituzioni e cittadini un sistema che promuova stili di vita più consapevoli e più giusti.

Come state organizzando la comunicazione e l’attività di advocacy?

Abbiamo scelto una comunicazione che offra una prospettiva ampia e trasversale.

Parlare di cibo, ad esempio, significa affrontare l’intera filiera: dagli impatti ambientali della produzione della materia prima fino alle scelte dei consumatori.

È su questo secondo aspetto che stiamo lavorando in modo particolare in Italia, utilizzando l’approccio dell’educazione alla cittadinanza globale, che spinge dalla conoscenza all’azione e poi al cambiamento.

A Milano promuoviamo i Community Garden attraverso eventi aperti alla cittadinanza, incontri con le scuole e collaborazioni con le associazioni del territorio. L’evento del 20 novembre, organizzato all’aperto in un’agroforesta, è stato un esempio concreto del nostro modo di comunicare: far vivere ai partecipanti l’esperienza di ciò che raccontiamo.

La comunicazione sembra essere una parte centrale del vostro lavoro. In che modo contribuisce agli obiettivi del progetto?

La comunicazione è essenziale. Da un lato c’è quella più classica, fatta di incontri, dialogo e presenza nelle scuole e nelle associazioni, per diffondere una cultura ambientale attraverso il confronto diretto.

Dall’altro c’è l’impegno con il mondo delle istituzioni e delle imprese. Lavoriamo sulle filiere affinché, nel complesso sistema della produzione agroalimentare, vengano sempre garantiti un’attenzione e un rispetto particolari per i diritti umani e l’ambiente.

Abbiamo l’obiettivo di stimolare il dibattito pubblico e accompagnare i cittadini nella comprensione di temi complessi. Sono piccole azioni che lasciano un seme.

L’anno scorso abbiamo pubblicato l’Indice di giustizia ambientale, una mappa globale delle disuguaglianze ambientali sviluppata con il Politecnico e l’Università degli Studi di Milano e sostenuta dalla Fondazione Cariplo. Abbiamo unito un approccio scientifico a una comunicazione chiara, per rendere comprensibile un tema articolato come la giustizia ambientale.

La rete dei Community Garden diventa così un tassello di un progetto più grande: costruire, attraverso la partecipazione e la conoscenza, un modello agroalimentare più giusto e consapevole.

Un percorso che parte dai territori e cresce grazie all’impegno condiviso di cittadini, studenti, ricercatori e organizzazioni.