Quando parliamo di giustizia climatica, parliamo anche di questo: della possibilità che i grandi inquinatori rispondano delle loro azioni. E che i cittadini, davanti ai danni del cambiamento climatico, possano chiedere verità, trasparenza, riparazione.
Il 23 luglio 2025 la Corte di Cassazione ha emesso una sentenza destinata a segnare la storia del diritto ambientale italiano.
In Italia, per la prima volta, una grande impresa fossile e i suoi azionisti pubblici potranno rispondere in tribunale degli effetti della crisi climatica.
Le Sezioni Unite hanno infatti stabilito che Eni, il Ministero dell’Economia e delle Finanze (azionista di riferimento) e Cassa Depositi e Prestiti (azionista di minoranza) possono essere processati per danni legati alla crisi climatica.
Non si tratta di una condanna, ma di una decisione che permette di aprire il merito del processo.

L’azione legale era stata intentata nel 2023 da Greenpeace Italia, ReCommon e da dodici cittadine e cittadini, nell’ambito dell’iniziativa #LaGiustaCausa.
L’accusa: nonostante le evidenze scientifiche e gli impegni internazionali, Eni ha perseguito un modello industriale altamente emissivo, aggravando il cambiamento climatico e i suoi impatti sulla salute, la sicurezza, l’accesso all’acqua e all’abitazione.
Avevamo raccontato questa vicenda nel marzo 2024, ponendo l’accento anche sulle narrazioni e sulla comunicazione dell’azienda.
Oggi, la decisione della Cassazione chiude idealmente il cerchio di quella prima fase e ne apre una nuova: quella in cui la giustizia climatica non è più solo una richiesta simbolica, ma una possibilità giuridica concreta.
Cosa cambia, concretamente? Molto. La sentenza:
- riconosce che anche in Italia è possibile agire in giudizio contro aziende e soggetti pubblici per responsabilità climatiche;
- rafforza la legittimità delle richieste avanzate da comunità, cittadini e associazioni;
- crea un precedente che potrà essere utilizzato anche in altri contesti legali, nazionali e internazionali.
Come ha spiegato Greenpeace Italia, «è una giornata storica per il clima e per la democrazia. I tribunali riconoscono che chi ha contribuito in modo significativo alla crisi climatica può essere chiamato a rispondere».

Il caso italiano si inserisce in un contesto globale in trasformazione.
Pochi giorni prima, la Corte Internazionale di Giustizia dell’ONU ha emesso un parere consultivo in cui afferma che gli Stati hanno l’obbligo giuridico di prevenire, mitigare e risarcire i danni climatici. Anche in Italia, oggi, il diritto sembra iniziare a dirigersi verso la medesima direzione.
La strada è lunga, e il processo è appena cominciato. Ma questa sentenza segna un prima e un dopo: riconosce che le scelte industriali hanno conseguenze. E che quelle conseguenze, quando ricadono sulle persone e sull’ambiente, possono – finalmente – essere giudicate.