In una società in cui le incertezze sono in costante crescita, anche i cambiamenti climatici possono diventare causa di stress, generando disagio e difficoltà nell’affrontare la quotidianità, pensando al futuro del nostro pianeta.
Una condizione che prende il nome di ecoansia, una tipologia specifica di ansia legata alla mancanza di certezze e collegata ad un generale senso di impotenza nel contrasto alla crisi climatica in atto.
Lo studio di questo disturbo è ancora ai primi passi, ma la previsione per il futuro è che ci possa essere un rapido e vertiginoso aumento dei casi.
Abbiamo affrontato il tema con Simone Tealdi, psicologo, psicoterapeuta con specializzazione cognitivo-comportamentale e poi attivista ambientale e divulgatore. Interessi e passioni che lo hanno portato ad approfondire questa forma di ansia legata alle sorti dell’ambiente.
Come definiresti l’ecoansia?
Non è semplice parlare di ecoansia, non essendo ancora inserita in una diagnostica ufficiale, all’interno del DSM. Principalmente ci rifacciamo ai disturbi d’ansia tra cui troviamo appunto anche questa forma.
È una problematica che solitamente colpisce di più le fasce giovani della popolazione, le quali ovviamente sono più preoccupate al il loro futuro perché hanno più decadi davanti a loro. Tendenzialmente colpisce di più le persone che sono sovraesposte alle informazioni e alle notizie, in questo caso di carattere ambientale.
Nello specifico quale è il meccanismo che si innesca?
Quando il nostro cervello si trova ad affrontare problemi molto complessi tende a sperimentare un senso di impotenza. Se io ti chiedo come sconfiggiamo il cambiamento climatico capisci che la risposta non è semplice, soprattutto se poi ti vai a confrontare con i dati scientifici che ti dicono, per esempio, che dal 2000 al 2020 le emissioni di Co2 sono aumentate considerevolmente.
In questo contesto poi uno si rende conto che buttare la propria lattina di Coca Cola nella raccolta differenziata è sicuramente di aiuto, ma non è certo un qualcosa di rilevante per andare a invertire un ciclo che fa parte di un problema umanitario e planetario.
Questo senso di impotenza verso un problema che viene posto come molto più grande di noi, porta tradizionalmente a sviluppare delle forme d’ansia, indipendentemente dalla causa scatenante.
Quali sono i “sintomi” di questa forma di ansia?
Le riposte che si hanno a sono sempre le stesse: con un’ansia lieve cerco un aiuto nelle figure di riferimento, che possono essere lo scienziato di turno, piuttosto che i propri familiari. Se è medio-alta, abbiamo un evitamento, attacco-evitamento, attacco-fuga. Quindi o scappo, cioè faccio finta di niente, dico: “non ci pensiamo, non ci posso fare niente“. Se l’ansia è ancora più alta si va invece verso l’impotenza. “Io non agisco più, non so più cosa fare, faccio la mia vita in qualche modo e basta.“
Quanto il fenomeno dell’ecoansia è collegato alla comunicazione che viene fatta riguardo i temi ambientali?
Questa è una domanda fondamentale perché purtroppo, soprattutto alcuni temi più divisivi, la stampa tende ad affrontarli in modi che non sono al servizio di chi ascolta. Una corretta comunicazione dovrebbe basarsi sul messaggio che arriva e su chi ascolta.
In particolare sull’ecoansia, vedo che purtroppo, molto spesso, la tendenza è quella di cadere nei soliti stereotipi, pensieri che si fanno da anni sull’ambientalismo. “Bisogna fare la differenziata, il sistema capitalista, il petrolio, eccetera…”.
Sono però dei meccanismi che difficilmente portano a un ragionamento di tipo costruttivo, complesso, che aiuti la popolazione a essere veramente concentrata sul lungo termine.
In questo senso servirebbe un tipo di comunicazione in grado di proiettare lo sguardo sul lungo termine. Ci sono tutta una serie di azioni quotidiane che servono più che altro a tranquillizzare la persona, e vanno benissimo, sia chiaro. Poi però servirebbe trovare un sistema comunicativo che ci permetta di visualizzare, secondo me, un mondo possibile e che possa trasmettere il coraggio di guardare un po’ più avanti.
Come può essere gestita l’ecoansia?
Come viene insegnato per le situazioni di emergenza, la prima cosa da fare è mettersi in salvo. Lo stesso vale per l’ansia, quindi dipende molto in quale intensità si sta sperimentando. Esiste sempre una parte funzionale che permette di concentrarsi, di agire, di portare all’azione.

Se però si percepisce, un senso di disagio profondo, si sta andando oltre il limite di sicurezza, che porta verso scelte avventate. Dobbiamo tenere presente che l’ansia è come una linea crescente da 0 a 100: più io vado verso il 100, più divento impulsivo e prendo scelte peggiori, perché ho bisogno di più risorse per gestire l’ansia.
Esistono numeri ufficiali sulle persone che soffrono o hanno sofferto di ecoansia?
Non sono dati semplici da monitorate e raccogliere. A livello generale in Italia il 70% dei giovani tra i 14 e i 19 anni è preoccupato dei cambiamenti climatici. Di questi, il 24% ha sentito parlare di ecoansia e il 22% pensa di aver vissuto un’ansia di questo tipo.
Quindi un buon quarto di queste persone ha vissuto o pensa di aver vissuto momenti di ansia generati dalla situazione climatica. Sono numeri considerevoli, ma siamo in un momento storico in cui il livello sociale di questa ansia è relativamente molto basso perché sono ancora bassi gli effetti del cambiamento climatico. Iniziamo ad esperirli, ma siamo ancora in una fase iniziale.
Con il probabile declino della situazione ambientale dei prossimi anni il fenomeno dell’ecoansia è destinato a crescere?
Sì, crescerà inevitabilmente. La nostra generazione già si sta accorgendo dei cambiamenti climatici in atto rispetto al passato. A mio parere, questa tendenza potrebbe sfociare anche in comportamenti aggressivi. Al crescere dell’ansia, come detto, i comportamenti sono più impulsivi.
La comunicazione è fondamentale: la situazione che affrontiamo è estremamente grave e richiede un’azione immediata. Tuttavia, un tono eccessivamente allarmistico è controproducente, poiché tende a generare solo comportamenti disfunzionali.
Il modo migliore per contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici è promuovere attivamente e positivamente comportamenti corretti ed efficaci.