Rispetto al 2019, quando il movimento Friday for Future riempiva le piazze di tutta Italia, il tema ambientalista e le politiche per contrastare la crisi climatica si sono assopite, sia per i decisori politici e sia nei contenuti dei principali media.
È un fenomeno che riguarda tutta Europa e che è stato denominato Green Backlash, traducibile come “contraccolpo verde”. Tra le cause, certamente l’evoluzione della politica internazionale, ma anche la comunicazione che è stata fatta e che viene fatta ogni giorno sui temi green.
Della questione si è occupato il giornalista Lorenzo Tecleme, in particolare in un articolo pubblicato su Prismag. Con lui abbiamo approfondito vari aspetti, tra cui il ruolo dei media in questa vicenda.
Che cosa è il Green Backlash?
È il nome che la stampa europea ha dato ad un fenomeno preciso durante le ultime elezioni europee. Facendo un paragone tra le due elezioni è chiara una differenza fondamentale: se nel 2019 nella gran parte dei paesi europei parlare e investire sulla questione climatica e ambientale era un modo per aumentare i propri consensi, quell’anno i partiti verdi ottennero risultati senza precedenti. Non in Italia, ma in Francia e Germania sì.
Alle ultime elezioni europee, nel 2024, è successo invece l’opposto. La politica di destra ovunque ha attaccato le politiche verdi denominandole come follie green e in questo ha riscosso molto successo. Anche il fronte moderato ha fatto notevoli passi indietro riguardo questi temi.
Come ti sei avvicinato al tema della crisi climatica?
Sono entrato a conoscenza dell’argomento importante denominato crisi climatica con la nascita del movimento “Fridays for Future”. Dopo aver iniziato il percorso da giornalista è stato naturale inseguire, anche nel mio lavoro, questa grande questione e preoccupazione.
Nel 2024 ho seguito le elezioni europee, soprattutto sul fronte climatico – ambientale: ho incontrato qui il fenomeno del Green backlash e ho deciso di approfondire.
L’articolo su Prismag nasce mesi dopo e voleva essere un modo per ragionarci nuovamente, anche in modo meno legato all’attualità e più come un fenomeno complessivo.
Il dibattito sulla crisi climatica ha avuto un cambio di tono tra il 2020 e il 2022. Cosa è successo secondo te?
Come in molti ambiti anche in questo caso serve la giusta prudenza: non eravamo tutti ambientalisti prima, e oggi non tutti hanno come principale obbiettivo polemico Greta Thumberg ad esempio.
Fatta questa doverosa premessa, il momento di entusiasmo generale vissuto dal 2015 in poi, credo abbia conosciuto due grandi batoste: la prima è stata il Covid19, che ha tolto l’elemento della comunità, ma paradossalmente non è stata la peggior, poiché nello stesso periodo ci sono comunque state le proteste di Glasgow, che hanno coinvolto 200.000 persone, e anche Net Zero è di quegli anni. Almeno in Europa, secondo me, ciò che ha davvero interrotto questa ondata di entusiasmo è lo scoppio della guerra in Ucraina.
In quel momento l’establishment europeo decide che la priorità è diventata un’altra, ovvero la cosiddetta sicurezza energetica.
Le lobby delle energie fossili si accorgono che è arrivato il loro momento per tornare alla ribalta. In generale, si decide che è necessario cambiare rotta.
Il progetto dei prossimi cinque o dieci anni non è più la transizione energetica, ma la sicurezza energetica, il riarmo e la preparazione per una possibile guerra. Qui potrebbe esserci il cambio nel dibattito, almeno in Europa.
Qual è il ruolo dei media?
Sicuramente i media, seppure con importanti eccezioni, sono riusciti solo in parte ad affrontare la sfida della complessità della crisi climatica.
Vedo certe notizie, anche importanti e a volte positive, riguardo la crisi climatica, che guadagnano a fatica un trafiletto sui giornali, rispetto magari a notizie sulla Borsa di New York che invece finiscono in prima pagina, anche quando gli effetti sono moderati.
Io non credo sia malafede, ma spesso le Redazioni dei giornali non conoscono a fondo il tema ambientale e forse non lo considerano neanche troppo importante. Questo è un grave problema, perché diventa un po’ una questione secondaria.
Della crisi climatica se ne parla ancora troppo poco?
Paradossalmente oggi di ambiente ne parla molto di più chi si oppone, rispetto alla stampa che definiamo progressista, ovviamente con le dovute eccezioni.
Se per alcuni l’argomento è visto con un po’ di fastidio, come una moda ormai passata, anche perché ci sono altri aspetti evidentemente in contrasto con la transizione, che sono invece ritenuti prioritari (penso al riarmo o la sicurezza energetica), per altri l’ideologia green è diventata quasi un’ossessione per cui qualunque cosa succede è occasione per incolpare la transizione ecologica e gli ambientalisti.
L’argomento è diventato una bellissima battaglia da combattere dal lato del fossile e per il mantenimento dell’esistente. Ma scusate il nostro piano non era la transizione energetica? Se mettiamo tutti questi soldi nelle armi, ne restano per i pannelli solari e le pale eoliche? Questa preparazione alla “grande guerra” è compatibile con la transizione? Sarebbero domande molto importanti, ma in pochi le stanno facendo.
