Anonima Riforestazioni è un’associazione nata dal basso e dalla passione di alcuni volontari, che incentiva in modo concreto la creazione di vivai e la piantumazione di alberi.
Ce ne parla uno dei fondatori, che sceglie (ovviamente) di rimanere anonimo, e sottolinea l’importanza di attivare le persone interessate alla riforestazione e di metterle nella posizione di iniziare un progetto condiviso, creando comunità.
Quando è nato il vostro progetto e com’è strutturato?
Tutto è partito nel 2021 durante la pandemia a Roma, dalla considerazione che fosse necessario aumentare le capacità di adattamento delle città.
Identificavo molti problemi ambientali, dalle ondate di calore all’assorbimento dell’acqua o all’erosione causata dai forti temporali, e la soluzione a questi diversi problemi spesso era la stessa, aumentare il numero di alberi.
Perciò mi sono avvicinato ad alcune associazioni ambientaliste, dove però il processo di piantumazione degli alberi era molto farraginoso. Da un lato c’era una lunga fase di comunicazione e di coordinamento, e anche molto protagonismo tra i vari esponenti nelle riunioni, poi però si arrivava al momento di riforestare e si piantavano solo una manciata di alberi.
Spesso sorgevano problemi di relazioni con le istituzioni e di permessi burocratici, era difficile reperire gli alberi e implementare i progetti.
Allora insieme ad un gruppo di amici abbiamo iniziato a riflettere sul fatto che la priorità, quando si fa una riforestazione, fosse quella di piantare un numero significativo e non simbolico di alberi.
Non volevamo fare dei progetti che si limitassero ad acquisire visibilità, ma semplicemente riforestare. Perciò abbiamo deciso di partire dall’autoproduzione degli alberi.
Come avete organizzato la vostra autoproduzione?
Abbiamo iniziato a piantare i primi alberi in un nostro giardino privato ma era una situazione complessa perché avevamo bisogno di molta acqua e spazio. Dopo qualche mese un mio amico mi dice che avrebbe voluto riforestare un terreno alla periferia di Roma e ci avrebbe dato l’accesso all’acqua per poter costruire il primo vivaio.
Da lì abbiamo piantato qualche centinaio di alberi, altri amici si sono appassionati.
Quello che ho notato è che produrre alberi crea una sorta di dipendenza, un’energia positiva che ti spinge a proseguire ed espandere quest’attività.
Sempre più persone si sono avvicinate all’associazione, interessate alla genuinità dell’approccio e al clima amichevole. Infatti si lavora stando insieme, ascoltando musica e creando quasi una piccola comunità.
È un bel modo di stare insieme e le persone che si sono avvicinate sono spesso rimaste. Nel 2024 l’associazione aveva 67 soci che contribuiscono attivamente oltre a qualche centinaio di volontari che partecipano saltuariamente alle attività.
Quanti progetti sono attivi al momento?
Abbiamo 9 vivai aperti in Italia più 3 nel resto del mondo (Colombia, Ghana, Palestina). Quest’ultimo si trovava nella cittadina di Masafer Yatta ma è stato distrutto dall’esercito israeliano.
Quelli italiani invece si trovano a Roma, Milano e in provincia di Grosseto, Lecce, Agrigento e Siracusa, oltra a un vivaio nell’isola di Stromboli. Nei vivai vengono piantati gli alberi usati poi nei progetti di riforestazione, seguendo due principi chiave: solo specie autoctone e solo genomi locali.
Come mai avete deciso di chiamarvi Anonima Riforestazioni?
Anonima Riforestazioni non ha come obiettivo solo produrre alberi ma di dare a chiunque voglia riforestare la possibilità di farlo, con un presupposto di partenza.
Il mondo della riforestazione secondo me è un po’ sopraffatto dalla necessità di agire per avere un ritorno d’immagine. Invece noi vogliamo stimolare a piantare alberi per tutelare più l’idea o lo scopo finale rispetto a chi agisce.
Se visiti il nostro sito non c’è un nome o una foto, l’associazione è una comunità di cui tutti fanno parte.
Ho notato che quando non ci sono dei volti “in prima pagina” le persone sono più propense a partecipare, ad essere attivi e a sentirsi parte di un gruppo e di un progetto più ampio dei singoli individui.
Che strategie comunicative avete utilizzato per farvi conoscere?
All’inizio non abbiamo prestato troppa attenzione alla comunicazione. Abbiamo fatto un paio di post su Facebook per annunciare un progetto e si sono avvicinati all’associazione degli esperti, come agronomi, biologi, guardie forestali.
Da quel momento abbiamo capito che comunicare le nostre attività era importante per attirare esperti del settore ma anche semplici curiosi, oltre a permetterci di aprire nuovi vivai o avviare altri progetti.
All’inizio eravamo un po’ sovversivi, poco attenti a mostrare quello che facevamo, ma devo ammettere che tramite i social network si possono avvicinare molte persone. Però noi non li usiamo per avere nuovi follower ma solo per mobilitare i cittadini e metterli nella condizione di piantare alberi.
All’inizio la comunicazione era un po’ grezza e schietta, ma nel corso ha iniziato ad affinarsi, soprattutto su Instagram, dove oggi abbiamo più di 2mila follower e i contenuti raggiungono un buon numero di interazioni.
Tuttavia il nostro interesse resta quello di parlare e coinvolgere chi ha un reale interesse verso i nostri progetti e vuole portare un cambiamento concreto attraverso il suo contributo.