La battaglia dei sioux vinta (per ora) contro l’oleodotto Dapl

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La notizia arriva inaspettata dopo sei mesi di battaglie che ha visto riunite per la prima volta in un fronte unico tutte le maggiori tribù di nativi d’America: l’Army corps of engineers ha annunciato che non autorizzerà la costruzione del Dakota access pipeline (Dapl) sotto il fiume Missouri e vicino alle terre dei sioux ma che verranno studiate soluzioni alternative dopo aver raccolto le osservazioni del pubblico.

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I rischi ambientali del Dapl

Il Dakota access pipeline è un progetto di oleodotto lungo 1.700 chilometri che avrebbe dovuto trasportare quotidianamente 400mila barili di petrolio (64 milioni di litri) provenienti dai campi petroliferi di bakken estratti con tecniche miste e invasive. La ditta proponente è la Energy transfer che già controlla 114mila chilometri di oleodotti americani. I tecnici dell’esercito hanno riconosciuto che il tracciato del pipeline avrebbe messo in pericolo le riserve d’acqua degli insediamenti indiani di Standing rock, a cavallo tra North Dakota e South Dakota, dove da aprile sono iniziate le proteste da parte dei nativi americani sioux e ai quali si sono unite tutte le altre tribù.

Dal punto di vista comunicativo, e grazie al suo contagioso carattere ambientale, la protesta ha fin da subito incassato il sostegno di diverse celebrità di Hollywood: da Jane Fonda a Mark Ruffalo, da Leonardo DiCaprio a Robert Kennedy, da Susan Sarandon a Ben Affleck. Solo qualche giorno fa sono arrivati anche duemila veterani di guerra a dare il loro supporto all’accampamento di camp Oceti Sakowin, dove migliaia di persone si sono radunate per contrastare fisicamente l’inizio dei lavori. L’arrivo dei veterani ha anche scongiurato l’ennesimo scontro tra forze dell’ordine e manifestanti, i quali avevano ricevuto l’ultimatum di sgomberare il campo di proprietà pubblica dell’Army corps of engineers.

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Se Trump ci ripensa

“Questa vittoria è rara perché è contagiosa, perché dimostra alla gente in tutto il mondo che l’organizzazione e la resistenza possono portare a vincere“, ha dichiarato Naomi Klein, giornalista e attivista che ha preso parte alla protesta. Ma la lotta non è finita e i manifestanti lo sanno. La società proponente sfiderà la decisione e intanto Trump gela i sioux dichiarando che la decisione finale spetterà a lui una volta che si insedierà come presidente degli Stati Uniti.

Sebbene questa non rappresenti la vittoria definitiva da parte dei nativi, l’esito ottenuto sinora restituisce un po’ di speranza, la speranza di aver “comunicato” un esempio, un’ispirazione per un’alternativa a un’economia fondata sui combustibili fossili, destabilizzante per il clima e inquinante per le risorse idriche. A dirlo sono proprio loro, i nativi: “Con questa lotta abbiamo insegnato al paese come vivere: dobbiamo puntare sull’energia verde, sulle rinnovabili e sfruttare le benedizioni che il Creato ci ha donato: primi fra tutti il sole e il vento”.

Maurizio Bongioanni

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