Cantine allagate per parlare di cambiamenti climatici: intervista a Laura Bettini

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di Francesca Davoli

Laura Bettini, conduttrice del programma “L’altro Pianeta” su Radio 24, è stata una dei tanti volontari che durante l’alluvione del 1994, commemorata in questi giorni ad Alba, venne a prestare soccorso nella zona. Visto il moltiplicarsi delle iniziative volte a sensibilizzare e prevenire le conseguenze di eventi idrogeologici catastrofici sul nostro territorio, le abbiamo rivolto qualche domanda, sia in veste di giornalista ambientale che di volontaria in prima linea in una delle alluvioni che più duramente colpì il nostro paese.

Innanzi tutto ci rivolgiamo a lei come giornalista, conduttrice del programma “L’altro pianeta” che affronta tematiche ambientali. Secondo lei, qual è il ruolo dell’informazione e della comunicazione nella prevenzione dei rischi, in questo caso del rischio idrogeologico?

L’informazione può giocare un ruolo fondamentale, se continua e competente. Tra i principali difetti della mia categoria c’è infatti quello di lavorare indefessamente oggi su temi  che domani dimenticheremo. Non è tutta colpa nostra, una redazione deve rispondere rapidamente a qualsiasi emergenza e purtroppo di emergenze ce ne è una al giorno. Purtroppo però per capire quali sono i rischi ambientali, come prevenirli e se effettivamente si lavora per la loro prevenzione, ci vogliono tempo e studio.

A che ci serve l’informazione  continua e competente? Prima di tutto direi a risvegliare (o creare) la sopita coscienza ambientale degli  italiani e poi a fornire ai cittadini gli strumenti cognitivi necessari a evitare comportamenti errati, riconoscere e/o  denunciare situazioni di pericolo, richiedere agli amministratori locali e nazionali più cura e attenzione al territorio. Infine a trasmettere il messaggio – fondamentale – che tutto è collegato.  Il clima, l’agricoltura, la gestione dei rifiuti, la produzione di energia, la mobilità: possiamo attivare un circuito win-win o lose-lose, dipende anche dai cittadini.

Quali sono a suo avviso i principali elementi da tenere a mente per un efficace comunicazione volta alla prevenzione, e quali i migliori mezzi per veicolarla?

Bisogna trovare l’elemento concreto, comune a tutti e riallacciarlo al grande problema o la grande scelta che come Paese o comunità di Paesi dobbiamo affrontare. Per fare un esempio: partiamo dalle cantine che si allagano per parlare di cementificazione, dell’adattamento ai cambiamenti climatici o del protocollo di Kyoto. Dobbiamo far capire che non sono problemi astratti ma questioni che influenzano anche la nostra vita quotidiana
Sbagliatissimo, secondo me, semplificare troppo il messaggio: l’informazione deve essere corretta. Se le parole sono difficili spieghiamole, non togliamole!
Quanto ai mezzi io sono un’appassionata ascoltatrice di racconti: voci, musica, suoni. In radio funzionano ancora i reportage, per fortuna e farli – quando si può- dà grande soddisfazione.

Vedo con interesse e piacere il diffondersi di esperienze teatrali per veicolare messaggi ambientalisti complessi.

Sappiamo che nel 1994 lei ha partecipato ai soccorsi ad Alba spalando fango insieme ad altri volontari. Ci può raccontare qualcosa di questa esperienza?

La mia esperienza come volontaria fu ad Alessandria. Nella mia città, Pavia, capita con una certa regolarità che il fiume straripi e allaghi la parte bassa della città. Quando accade, il Ticino ha un’aria imponente ma controllata. Niente a che vedere con quello che vidi ad Alessandria: lì il fiume era impazzito, c’era fango ovunque, nell’aria odore di marcio e di gasolio. Il gruppo di cui facevo parte fu destinato a spalare nelle cantine di palazzi che non potrei mai riconoscere.
All’inizio eravamo schizzinosi, alla fine sguazzavamo nella melma a mezza gamba senza più alcuna considerazione.  Spalavamo e ammucchiavamo in un angolo oggetti irriconoscibili pensando che per qualcuno avrebbero potuto essere importanti. In realtà probabilmente finirono gettati via: di quanto sarebbe stato difficile ripulirli ce ne accorgemmo la sera quando, tornati a casa, cercammo di ripulire i nostri abiti irrigiditi dal fango e dal pattume che ci galleggiava insieme.

C’è un aneddoto in particolare che l’ha colpita?

Non è un aneddoto ma un motorino impigliato ai rami di un albero il mio ricordo di quell’alluvione. Avrei visto immagini simili anche altrove negli anni successivi ma quella fu la prima e mi è rimasta impressa: sembrava un avvoltoio malandato su un albero agonizzante.

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