Referendum sulle trivelle: sì o no, l’importante è partecipare

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Il 16 febbraio il capo dello Stato ha fissato per il 17 aprile il referendum sulle trivelle. In molti avevano chiesto di posticipare la data del referendum accorpandolo alle elezioni amministrative: sia perché avrebbe consentito un risparmio di 300 milioni di euro, sia perché avrebbe garantito una maggiore partecipazione al referendum. Il governo ha fatto sapere che per motivi tecnici era impossibile accorpare i due momenti elettorali. In effetti sarebbe stata necessaria una legge per poter unire elezioni e referendum, e a tal fine, una legge di soli due articoli per favorirne una rapida emanazione, era stata proposta. Questo disegno di legge però non ha avuto seguito, il che spinge a domandarsi se le reali ragioni del mancato election day non siano piuttosto di carattere politico. Perché se è vero che all’interno del Partito Democratico convivono sostenitori del “Sì” e sostenitori del “No”, all’interno del Governo sembra esistere una sola linea: quella del “No”.

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Nei referendum il nemico del “Sì” non è mai il “No”, ma l’astensionismo (“andate al mare” disse Craxi). L’obbligo di raggiungimento del quorum fa si che non andare a votare sia meglio che votare “No”. Infatti tra astensionisti consapevoli e astensionisti disinteressati, solo un referendum negli ultimi 20 anni ha raggiunto il quorum (quello del 2011 con un’affluenza del 57%). A voler pensar male il mancato accorpamento delle due chiamate elettorali sembrerebbe una scorciatoia per il successo del “No”.

Da tempo si ripete che l’adozione di pratiche partecipative è una via obbligata per il rafforzamento delle politiche ambientali. La tutela dell’ambiente passa necessariamente attraverso dei cittadini informati, infatti l’ordinamento italiano ha sempre riconosciuto in materia ambientale particolari regimi di pubblicità ed obblighi informativi. Ma la sensibilità e la partecipazione sono elementi che hanno bisogno di essere alimentati, soprattutto in temi controversi come la tutela dell’ambiente è facile cadere nel vuoto della disaffezione. In fondo il quesito referendario sembra avere un valore pratico quasi marginale; la vera posta in gioco, come stanno insistendo i promotori del referendum stesso, è soprattutto simbolica: dare un segnale chiaro di lotta agli idrocarburi e aprire una nuova fase di sviluppo basate sulle energie rinnovabili.

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In Italia la politica ambientale, nei suoi profili di approvvigionamento energetico e sviluppo industriale, ha sempre avuto un peso limitato nell’arena politica. Elementi come il riscaldamento climatico, o il peso che lo stesso sta avendo all’interno delle primarie democratiche statunitensi, ci mostrano che prima o poi la tematica della sostenibilità ambientale è destinata ad entrare a far parte dell’agenda politica. La scelta del governo lascia dunque perplessi: accettare la sfida del referendum argomentando la legittima scelta del “No” sarebbe stato un ottimo investimento sulla sensibilità ambientale e avrebbe assicurato una maggiore consapevolezza nelle future scelte ambientali.

Giovanni Marco Santini

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