Dal 1994 ogni anno nei mesi estivi Legambiente pubblica il Rapporto sulle Ecomafie in Italia. Uno dei pochi report che nel dettaglio aggiorna il quadro sulle attività criminali legate all’ambiente. Un fenomeno che nel 2024 ha oltrepassato la soglia dei 40 mila reati e si stima abbia un fatturato di circa 9,3 miliardi di euro.
Ne abbiamo parlato con Antonio Pergolizzi, saggista, giornalista e analista ambientale esperto di ecomafia soprattutto per quanto riguarda il ciclo dei rifiuti.
I reati di tipo ambientale continuano a crescere, quali sono i motivi?
Purtroppo nel nostro Paese abbiamo una forte pressione da parte della criminalità ambientale, che si manifesta in differenti modalità. Riguarda in maniera indiscriminata tutti i settori: cemento, ciclo dei rifiuti, patrimonio archeologico, l’agroalimentare.
Le ragioni principali sono due: da un lato, ci sono fattori economici. Dall’altro, ci sono difficoltà oggettive nel controllare settori molto diversi tra loro, perché ognuno ha le sue specificità e richiede un costante e complesso aggiornamento sulle misure di prevenzione. Oltre a questo, ci sono evidenti carenze da parte di chi governa.
Facendo l’esempio specifico dello smaltimento dei rifiuti?
Il ciclo dei rifiuti è debole in diversi punti: le filiere non sono ben governate, la distribuzione degli impianti è disomogenea e non esiste una tracciabilità efficace. Queste carenze creano un terreno fertile per i trafficanti di rifiuti. La soluzione è costruire un sistema integrato che segua un’ottica circolare, sottraendo le risorse alle organizzazioni criminali.
Ci sono poi due casistiche particolari: incendi e abusivismo edilizio
Gli incendi seguono un andamento particolare: ci sono delle flessioni perché, quando un’area è andata a fuoco, la vegetazione ha bisogno di tempo per ricrescere. Questo riduce la quantità di materiale soggetto a combustione e di conseguenza il fenomeno degli incendi cala per alcuni anni.
Il ciclo del cemento sta vedendo una preoccupante recrudescenza dell’illegalità. Nonostante l’accusa di abuso edilizio sia generalmente percepita come un reato grave, gran parte della politica continua a mostrare incertezza e a non affrontare il problema in modo deciso.
Nel dibattito politico, la necessità di affrontare l’emergenza abitativa è un tema molto discusso. Occorre però analizzare criticamente come, dietro questa legittima esigenza, si celino in realtà operazioni speculative. Tali attività non offrono soluzioni abitative stabili, ma promuovono invece un uso improprio del territorio, mettendo a rischio la sicurezza delle persone che vi abitano.
Quale può essere il ruolo della comunicazione?
Un ruolo fondamentale certamente. Cioè un’informazione che comunichi temi, oggettivi e reali, fatto di un’analisi totale e certificata.
La pubblicazione di Legambiente non è un racconto di parte, sembra incredibile, ma è una pubblicazione che viene fatta all’interesse della comunità.
L’informazione è cruciale per sensibilizzare l’opinione pubblica e far comprendere la reale gravità della situazione. Tuttavia, mi sembra che, a parte Legambiente, non ci siano altri soggetti che denunciano chiaramente questo problema sul territorio.
Riguardo la qualità dell’informazione, quali sono le principali criticità nel sistema di gestione dei rifiuti, oltre al traffico illecito più evidente?
Spesso ci si concentra sul traffico di rifiuti, che è il caso più estremo e fa più notizia. Se si analizza il problema a fondo, si scopre che i veri punti deboli del sistema sono altri. Esistono infatti meccanismi illegali molto sofisticati che non ricevono abbastanza attenzione e che si muovono al confine con la legalità. Settori come gli oli, le batterie, il tessile e le costruzioni sono i più colpiti da queste pratiche borderline che, a mio parere, costituiscono una parte fondamentale del fenomeno. Una regolamentazione carente crea inoltre spazi di manovra come il greenwashing, permettendo alle aziende di agire senza conseguenze.
Quali sono le “armi” e le strategie messe in campo dallo Stato?
In Italia abbiamo ormai una forte risposta delle istituzioni, nel senso che comunque l’Italia ormai è diventata un paese all’avanguardia sull’aspetto repressivo. Al contrario di altri paesi abbiamo un dispositivo, un quadro normativo all’avanguardia.
Il punto cruciale è che l’abuso edilizio viene contrastato solo dalle Forze dell’Ordine, ma non dalla politica. Finché questa situazione non cambierà, ogni sforzo rischia di essere vano, perché il problema tenderà a ripetersi costantemente.
Perché, nonostante i progressi contro la contraffazione, le questioni legate alla filiera agroalimentare e la protezione della fauna e della biodiversità rimane un problema critico?
Mentre nel settore agroalimentare si risponde bene a contraffazione e commercio illegale, la situazione per gli animali, specialmente quelli da reddito, è devastante. Negli allevamenti avvengono pratiche raccapriccianti.
Per non parlare di tutta l’attività che riguarda il bracconaggio, il commercio di specie protette dove non esistono delitti ambientali che proteggano gli animali. Questi vengono considerati a livello di salute umana, ma non come un elemento di biodiversità.
A livello europeo com’è la situazione?
L’Unione Europea ha un ruolo fondamentale, non per abbassare gli standard, ma per elevare il livello di tutela ambientale in tutti i Paesi membri, ispirandosi al modello italiano. L’Italia è già all’avanguardia nel contrasto ai crimini ambientali, con reati specifici come il disastro ambientale e il deposito incontrollato di rifiuti, e ha perfino inserito la tutela dell’ambiente nella Costituzione.
L’implementazione della nuova direttiva europea è un’ulteriore conferma di questo impegno, e speriamo che serva da stimolo per un’azione più decisa a livello continentale.