Il punto sul Beach Litter in Italia, realizzato da Legambiente

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Spiagge e Fondali puliti, Clean Up the Med, è il nome della campagna a cui aderisce Legambiente da ormai cinque anni, volta a far conoscere e monitorare il problema del beach litter, ovvero la diffusione di rifiuti nelle spiagge del Mar Mediterraneo.

Per il rapporto Beach Litter 2019, Legambiente ha realizzato la più estesa indagine di citizen science sui rifiuti spiaggiati mai realizzata in Italia e nel mondo. Circoli regionali e provinciali di Legambiente e centinaia di volontari, tra cittadini e studenti hanno realizzato l’indagine che, quest’anno, prende in considerazione 93 spiagge; quest’ultime sono distribuite uniformemente in tutta la zona costiera italiana, dalla Toscana alla Sicilia, dalla Basilicata al Friuli-Venezia Giulia e in Sardegna. Manca all’appello la Liguria.

I risultati dell’indagine, come ci si poteva attendere, sono inquietanti. “Parliamo in totale di 968 rifiuti ogni 100 metri lineari di spiaggia” riporta il dossier di Legambiente; esso continua affermando che “ciò che è visibile ai nostri occhi in spiaggia è solo il 15% dei rifiuti che entrano nell’ecosistema marino”. Nella top ten dei rifiuti più trovati ci sono: pezzi di plastica e polistirolo, tappi e coperchi di bevande, mozziconi di sigarette, cotton fioc, materiali da costruzione, bottiglie di plastica, stoviglie di plastica, reti o sacchi per ostriche, frammenti di vetro o ceramica. Del primo in classifica, troviamo 109 esemplari ogni 100 metri di spiaggia, del decimo “solo” 30. Come si evince dalla classifica suddetta, i prodotti di plastica rappresentano, da soli, l’81% di tutti i rifiuti trovati.

Volendo identificare le cause principali del beach litter italiano, come prima troviamo la mala gestione dei rifiuti urbani (influisce per l’85%, con un’incidenza forte soprattutto degli imballaggi e i rifiuti da fumo), a seguire la carenza dei sistemi depurativi e la cattiva abitudine di gettare i rifiuti urbani nel wc (cotton fioc, assorbenti igienici, blister e imballaggi dei medicinali…), infine pesca e acquacoltura.

Tornando alla top ten, è interessante leggere questi dati alla luce della recentissima direttiva Europea sul monouso di plastica: gli 11 prodotti messi al bando sono i dieci presenti nella classifica sopracitata, più le reti e gli attrezzi da pesca e acquacoltura. Per questo motivo l’inchiesta di Legambiente si è occupata anche di verificare, quanti prodotti, tra quelli vietati dall’UE siano presenti sulle nostre spiagge; il risultato è che “oltre la metà (il 66%) dei rifiuti registrati” sono precisamente le dieci tipologie analizzate.

In Italia, teoricamente, si dimostra piuttosto all’avanguardia per quanto riguarda la legislazione relativa ai rifiuti “proibiti”: gli shopper in plastica sono stati messi al bando dal 2013 e i cotton fioc nel 2019, anticipando la Direttiva.

Quest’ultima si è mostrata piuttosto ambiziosa, tuttavia, come evidenzia lo stesso dossier di Legambiente, sarebbe importante concentrarsi maggiormente su campagne di sensibilizzazione della popolazione. Infatti, i bicchieri di plastica rappresentano il 49% di tutte le stoviglie rinvenute nelle spiagge e l’Italia è il terzo paese al mondo per consumo di acqua imbottigliata. Infine, sarebbe necessaria l’implementazione di una strategia su lungo periodo volta ad aumentare la qualità della raccolta differenziata, il riciclo e quindi, in generale, spingere i cittadini all’adozione di stili di vita più sostenibili.

Per concludere, un piccolo focus sui danni provocati dalla enorme quantità di rifiuti sull’ecosistema marino mediterraneo. Si possono individuare tre ordini di problemi. Innanzitutto, il fatto che i rifiuti costituiscano un mezzo di trasporto alle specie aliene che, raggiungendo nuovi ambienti, magari lontani, mettono in pericolo l’ecosistema; in secondo luogo, i rifiuti sono responsabili di danni diretti su alcuni ecosistemi, tra cui quello bentonico o le barriere coralline e sulle attività economiche di pesca e turismo. Infine, e si tratta forse della maggiore criticità, i rifiuti non scompaiono: essi restano nell’ambiente, si degradano ad opera di vari fattori, si frammentano i piccoli pezzi, impossibili da rimuovere, le microplastiche. Queste, una volta entrate nella catena alimentare la contaminano inevitabilmente.

Di seguito, il Decalogo di Legambiente:

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Di Anna Filippucci

 

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