“Chi ha paura del buio?”, una pagina social contro le fake news

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Il virus della disinformazione non risparmia il mondo della scienza ma fortunatamente qualcuno si adopera per contrastarlo: l’intervista ai divulgatori della pagina social “Chi ha paura del buio?”

“Rendere accessibili a un maggior numero di persone nozioni scientifiche e tecniche, con un’esposizione semplice e piana”. È questa una delle definizioni, più facile a dirsi che a farsi, della parola “divulgare”. Comunicare in modo efficace è infatti una sfida, resa tra l’altro più complessa dal progredire delle forme di comunicazione. Le fake news, ad esempio, mietono sempre più “vittime” e senza risparmiare il mondo della scienza. I divulgatori – nonché amministratori – della pagina facebook “CHI HA PAURA DEL BUIO?”, dal lontano maggio 2012, si sono convertiti negli anticorpi utili ad annientare il “virus della disinformazione”.

Filippo Bonaventura, Matteo Miluzio e Lorenzo Colombo – amministratori della pagina di divulgazione “Chi ha paura del buio?” ci raccontano il loro percorso e il loro punto di vista:

Come è nata l’idea di dar vita ad una pagina di divulgazione?

“Chi ha paura del buio?” è nata nel maggio 2012 da un’idea di Massimiliano Bellisario, medico, per presentare il suo libro sugli effetti di una eventuale supertempesta solare sulla nostra società. Subito dopo si sono aggiunti Lorenzo Colombo e Matteo Miluzio, astrofisico e astronomo, inizialmente per parlare di attività solare e di astronomia, per poi allargare ad altri campi come climatologia, meteorologia e geologia, questo grazie anche a svariati esperti e collaboratori occasionali. Dall’estate 2018 si è aggiunto Filippo Bonaventura, astrofisico anche lui. Il progetto si è quindi evoluto gradualmente nel tempo, in risposta alle esigenze del nostro pubblico e a cosa di piaceva di più presentare ai nostri lettori. Alla fine del 2018 Massimiliano ha lasciato il progetto per motivi personali.

Quali sono state le sfide più difficili che vi siete trovati a fronteggiare nel corso di questi anni da divulgatori?

Un aspetto spaventoso della comunicazione odierna è l’inesorabile nascita e crescita delle bolle comunicative, o echo chamber in inglese. Riuscire a mantenere un interesse trasversale a molti pubblici di tipologia diversa è molto difficile, e si finisce per predicare ai convertiti. Le community diventano molto chiuse e identitarie, come delle tribù. Noi siamo animati dalle migliori intenzioni e mettiamo la discussione e il soddisfare i dubbi dei nostri lettori sopra ad ogni cosa, ma nonostante questo spesso capite che sono i nostri stessi utenti che per “senso di appartenenza” reagiscono con ostilità a domande spesso semplicemente ingenue. A questo si aggiunge l’opera di avvelenamento dei pozzi condotta da pochi individui su temi molto controversi (come il cambiamento climatico). Si ammantano di autorità tecnicismi e argomentazioni calme e razionali, che spesso però sono solo pregiudiziali. La discussione in questi casi diventa un impossibile muro contro muro, e il lettore non esperto si ritrova più confuso di prima. Il freebooting è un altro grande problema che danneggia economicamente molti progetti di creazione contenuti.

La crisi climatica è stata e continua ad essere uno dei temi centrali del dibattito scientifico prima e politico poi, qualche esempio di disinformazione in questo contesto?

Uno dei cavalli di battaglia del negazionismo climatico è la leggenda secondo cui i minimi solari influenzerebbero il clima e stiano portando a una nuova era glaciale. Questo non trova nemmeno il minimo riscontro nella letteratura scientifica internazionale. Abbiamo parlato più volte di come il riscaldamento globale venga trattato in maniera volutamente distorta da una parte dei media italiani, enfatizzando per esempio brevissimi periodi con temperature sotto la media ignorando al contempo tutti i periodi sopramedia. Questa pratica, nota come ‘cherry-picking’, o scelta delle ciliegie, oltre a essere un chiaro segno di malafede è altamente pericolosa, perché diffonde disinformazione e inquina gravemente il dibattito pubblico sul tema forse più cruciale che dovremo collettivamente affrontare nei prossimi decenni.

Voi come avete scelto di comunicare nozioni tanto complesse ad un pubblico spesso poco formato scientificamente?

La nostra deontologia è quella di:

1) riportare sempre esclusivamente fatti ritenuti verificati da esperti, e quando non siamo noi rivolgerci a chi di opportuno

2) riportare sempre le fonti da cui partiamo per scrivere i nostri articoli, con eccezioni solo per quando sono nozioni che abbiamo appreso all’università e parte del nostro “bagaglio culturale”.

3) Comunicare in modo il più semplice possibile senza però scadere in analogie, metafore o affermazioni che risultino parziali o incorrette. Limitare gli anglicismi, le formule e il lessico specialistico, se non opportunamente descritto.

Forme di comunicazione sempre più avanzate da un lato, facilitano la diffusione delle fake news mentre dall’altro, contemporaneamente, sono la via più efficace per contrastarle. Secondo voi come tenderà ad evolvere questo dualismo?

Secondo noi ci stiamo muovendo verso una singolarità della comunicazione, una sorta di orizzonte degli eventi. Le bolle di risonanza si fanno sempre più resistenti e impermeabili, e le opinioni sempre più polarizzate. La società si è dotata di questi strumenti (i social media) da troppo poco tempo, e la situazione continuerà ad evolvere finché non saremo noi stessi a farci il callo, o gli anticorpi. La crisi dell0informazione è destinata a rientrare, prima o poi, ma ciò non toglie che nel frattempo farà tanti danni. Noi siamo presenti con la nostra voce per cercare di dare un terreno stabile su cui poter discutere in pace.

 

 

 

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