Greenpeace: campagna virale con testimonial poco virile

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di Eleonora Anello

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Un banner srotolato sulla facciata del quartier generale della Mattel di El Segundo (California) e 6 arresti, sono stati i momenti clou della nuova campagna globale firmata Greenpeace contro la deforestazione. Con quel cartellone gli attivisti hanno dato voce a Ken che ha dichiarato “Ti mollo. Non esco con ragazze complici della deforestazione”. Le accuse sono rivolte alla multinazionale del giocattolo e in particolar modo alla Barbie, una delle bambole più vendute al mondo, colpevole di essere commercializzata con imballaggi forniti da industrie responsabili del disastro ambientale che sta colpendo sopratutto l’Indonesia.

Il blitz che ha ufficializzato la rottura della famosa coppia di plastica, è stato preceduto dalla pubblicazione da parte dell’associazione ambientalista, quasi 3 milioni di soci in 41 paesi del mondo, del rapporto “Toying in extinction”, in cui viene dimostrato che Mattel ha stretto rapporti commericali nel settore delle forniture degli imballaggi con l’Asia Pulp & Paper, una società di Singapore del gruppo Sinar Mas, che ha acquistato vaste aree di foresta pluviale per ricavare carta che commercializza a poco prezzo. La APP sorpresa si difende sostenendo che gli imballaggi incriminati sono prodotti al 96% con materiale riciclato, con l’obiettivo di arrivare al 100% entro il 2015.

L’azione di Greenpeace si è esplicata su più fronti prediligendo internet e i social media. Nei primi tre giorni di campagna, più di 700.000 persone hanno visto la video-intervista, tradotta in 18 lingue, a un poco virile Ken che apprende con sgomento le vere attività della fidanzata e che si conclude con la rottura.

Per fare pressing sul grande marchio statunitense al fine di costringerlo rivedere le sue scelte nel settore degli imballaggi, Greenpeace ricorre al mail bombing. Sul suo sito è infatti possibile inviare un messaggio al CEO di Mattel con pochi e semplici clic. E gli utenti sembra abbiano apprezzato: la Mattel ha dichiarato di aver ricevuto 83.000 e-mail di protesta, anche se Greenpeace dice che dai suoi server ne sono partite 200.000.

La guerra è virale e quindi corre sopratutto suoi social media e il boicottaggio ha assunto una così vasta portata che la Mattel è stata costretta a bloccare i commenti e cancellato ogni riferimento delle foreste pluviali sulla pagina Facebook di Barbie, più di 2 milioni di seguaci. Coloro che si vogliono unire alla protesta sono invitati a togliere “mi piace” dalla pagina di Barbie e a cambiare l’immagine del proprio profilo con quella imbronciata di Ken.

Sul fronte di Twitter invece, in breve tempo, Barbie e Ken sono diventati dei Trending Topic, e sono anche nati i profili-parodia di @Barbie e @Ken_talks che litigano sulla deforestazione.

In realtà Greenpeace ha giocato sulla recente riconciliazione della coppia che monopolizza i giochi di milioni di bambini. Ken ha fatto la scelta giusta? E Barbie la finirà di deforestare il mondo? Al momento la Mattel ha dichiarato di voler modificare nell’immediato i suoi approvvigionamenti mentre gli ambientalisti aspettano un documento ufficiale.

La campagna è geniale e molto divertente, ne hanno parlato i media di tutto il mondo ma nonostante il grande successo c’è qualcuno che proprio non riesce a farsi due risate. Sono i comitati femministi e quelli gay che accusano di sessismo l’azione di Greenpeace. Del resto anche Ken viene incartato con gli stessi materiali di Barbie e inoltre viene rappresentato come un omosessuale un po’ isterico e tontolone. Questa parte di opinione pubblica non fa altro che porre una domanda legittima: può una campagna di sensibilizzazione sulla tutela dell’ambiente affidarsi a una comunicazione sessista?

1 commento su “Greenpeace: campagna virale con testimonial poco virile”

  1. La domanda finale apre le dighe della discussione “fino a che punto la comunicazione è una scienza fatta di tecniche o è applicazione di considerazioni politiche, sociologiche e filosofiche?”.
    Ciò che voglio dire è che in questo caso, per rispondere alla domanda, ci si deve chiedere se il target sensibile all'ambiente è anche sensibile alle questioni “sessiste”: in caso affermativo diremo che una campagna di sensibilizzazione sulla tutela dell'ambiente può puntare su una comunicazione sessista, in caso contrario no.
    Io faccio fatica a vederci qualcosa di scientifico, tanto quanto faccio fatica a vedere della “scienza politica” quando le scelte sono fatte in base ai risultati dei sondaggi, senza creare un quadro di riferimento (quadro che confina con l'elaborazione filosofica, nel senso nobile del termine, anch'essa non propriamente scienza nel senso stretto del termine).
    Mi piacerebbe aprire una discussione in tale senso, per meglio definire fin dove la comunicazione è una scienza.

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