Clima, la finanza fossile frena la transizione: l’intervista

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Banche, compagnie assicurative fondi di investimento e fondi pensione, da sempre, determinano i flussi e la distribuzione dei capitali. Le loro scelte d’investimento, a lungo indirizzate verso l’industria dei combustibili fossili, hanno alimentato, almeno finora, la crisi climatica. Per favorire la transizione ecologica della finanza, l’organizzazione ReCommon ha dato il via ad una campagna di sensibilizzazione, ma anche di azione. Ce la racconta il responsabile dell’iniziativa, Simone Ogno.

Ciao Simone, perché avete ritenuto necessario dar vita alla campagna “Finanza Fossile”?

Come siamo soliti fare a ReCommon, siamo partiti ponendoci delle domande. L’industria fossile potrebbe sopravvivere senza il sostegno della finanza globale? Centrali a carbone, oleodotti e gasdotti potrebbero essere realizzati se nessuno li assicurasse?

La finanza privata, nel suo atto di investire, si pone come ‘primum movens’, cioè punta sui settori che vorrebbe svettassero sugli altri, in ascesa. È stata la finanza a gettare le basi per l’emergere dell’economia del petrolio, e ora ci sta spingendo verso l’economia del gas. Sempre più spesso va a braccetto con la finanza pubblica dei singoli paesi o delle banche multilaterali, che agisce da stampella o da capitale complementare. Non è quindi un attore secondario, bensì un protagonista della crisi climatica, motore di un sistema che si basa sullo sfruttamento del territorio inteso come ambiente e comunità di persone che lo abitano. Potremmo dire che la finanza è l’ossigeno che alimenta il fuoco del cambiamento climatico.

In che modo e con quali strumenti comunicativi avete diffuso questa iniziativa?

Per dirla in una battuta, a ReCommon per “fare campagna” intendiamo rompere le scatole, in maniera dura e senza compromessi. Il primo obiettivo è quello di delegittimare agli occhi dell’opinione pubblica le società dei combustibili fossili o le istituzioni finanziarie che le supportano, mostrando come rappresentino un blocco di potere che ostacola il miglioramento delle nostre società mentre si presentano come “parte della soluzione”.

Nello specifico, agire sul mondo della finanza significa porle un problema reputazionale, e quindi un rischio economico in prima battuta. La paletta degli strumenti di cui ci dotiamo è molto ampia: missioni sul campo, per mostrare gli impatti dei progetti finanziati e assicurati, e per amplificare la voce delle comunità locali che vi si oppongono; pubblicazione di report e articoli di analisi, spesso in concomitanza con momenti “caldi” del calendario finanziario o politico; incalziamo banche e assicurazioni durante le proprie assemblee degli azionisti, ponendo domande prima delle stesse o – quando possibile – facendole di persona in quelle sedi; a volte è capitato di partecipare ad azioni nonviolente che avessero l’obiettivo di accendere i riflettori sui finanziamenti sporchi di una determinata istituzione finanziaria.

Di recente, tra gli strumenti più di stampo comunicativo, abbiamo avuto la fortuna di avvalerci della grandiosa collaborazione con l’attore Claudio Morici, con cui abbiamo già realizzato quattro video. Uno di questi tratta proprio il tema della Finanza Fossile, lanciato nei giorni della Pre-Conferenza sul clima di Milano. Con il suo stile sarcastico e tagliente, pensiamo che Morici sia riuscito a trasmettere al pubblico un tema spesso complesso, buttandola innanzitutto sul piano delle menzogne e dei paradossi che la finanza rappresenta in materia di clima e ambiente, con un auspicio finale: che queste menzogne cessino e si passi all’azione, d’altronde quanto possono durare…” un paio d’anni”?

Nel pratico, chi fosse interessato a sostenere una finanza maggiormente sostenibile cosa potrebbe fare?

Purtroppo, il mercato bancario italiano è molto concentrato, un oligopolio de facto. È sicuramente importante informarsi e conoscere l’operato del proprio istituto finanziario di riferimento in materia di clima e ambiente, così da incalzarlo e far valere la propria voce in quanto correntisti.

D’altronde, anche se in minima parte, i soldi prestati all’industria fossile sono anche i suoi. Se poi questa pressione non dovesse portare alle risposte sperate, allora si potrebbe disinvestire e navigare nel mondo della finanza etica e sostenibile, anche se in Italia le opzioni sono limitate, e affidarsi a un istituto estero a volte comporta costi di gestioni non sempre alla portata dei più.


Un altro approccio potrebbe essere quello di scegliere piccoli istituti di credito, di prossimità, con cui è più facile interagire e che possiamo essere sicuri non abbiano il capitale da prestare o investire nei grandi colossi fossili. Potrebbe essere un primo filtro.

In conclusione, quali risultati avete ottenuto grazie a questa campagna?

Tanti risultati, grazie anche a lavoro congiunto su questo fronte portato avanti con Greenpeace Italia. Abbiamo spinto UniCredit ad adottare impegni sul carbone molto avanzati, sicuramente tra i migliori a livello internazionale con la chiusura delle relazioni con il settore entro il 2028, che speriamo siano mantenuti. Pochi mesi fa, anche Assicurazioni Generali ha raccolto gran parte delle nostre richieste relative al carbone, facendo dei primi passi sul comparto oil&gas, secondo caso al mondo in campo assicurativo.

Non lasciamo quindi a ReCommon tutto il lavoro. Chi volesse, potrebbe già avviare la propria personale “campagna di disinvestimento”. In che modo? Semplice, cambiando banca.

Credits immagine di copertina: Carlo Dojmi Di Delupis/ReCommon