Nella striscia di Gaza a dialogare sulla gestione dei rifiuti

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Sto rientrando in Italia dopo una settimana di incontri con i cittadini e gli stakeholders nella Striscia di Gaza. Questa è la seconda fase del progetto voluto da AICS (Associazione Italiana per la Cooperazione e lo Sviluppo) in collaborazione con l’Agenzia ONU per i rifugiati Palestinesi (UNRWA) per la definizione di una strategia per la gestione dei rifiuti negli 8 campi profughi della Striscia di Gaza. Prima conoscere, poi dialogare, poi costruire qualche cosa che possa essere coerente con la realtà, accettato e soprattutto portato avanti con i pochissimi mezzi disponibili in loco.
Oggi la situazione è critica: le 3 discariche ufficiali sono quasi esaurite, i Comuni non hanno i soldi per pagare lo smaltimento, ma neppure per trasportare i rifiuti fino alle discariche con i camion (consideriamo che si tratta in media sempre di meno di 10 km) e allora nascono accumuli abusivi un po’ ovunque ai bordi delle città. Accumuli di sacchi che occupano terreni e che contribuiscono a inquinare ulteriormente le falde acquifere.
Foto di Emanuela Rosio
Abbiamo incontrato politici e amministratori di tre Comuni, i referenti istituzionali per la protezione dell’Ambiente e per la pianificazione delle acque e visitato i campi profughi dialogando con le famiglie. Abbiamo visitato vivai e aziende che riciclano il cartone per produrre imballi per le uova e il PET per fare oggetti in plastica. Il tutto per capire se qualche forma di Economia Circolare qui è possibile, ma soprattutto per sentire che cosa la gente pensa, quale è la percezione del problema. Perché coinvolgere i cittadini significa prima di tutto ascoltarli, comprendere le difficoltà, conoscere il contesto e questo è imprescindibile in ogni strategia di comunicazione locale.
La sensazione forte e forse non troppo razionale è che a Gaza ci sia un terreno fertile per cambiare le abitudini, per introdurre nuovi comportamenti e nuove abitudini nella gestione dei rifiuti, iniziando da azioni semplici e dalla valorizzazione delle competenze sia di UNRWA e dei suoi operai che ogni giorno puliscono le strade e raccolgono i rifiuti con i carri e gli asini, sia di coloro che possono creare e sviluppare nuovi lavori, come le piccole aziende che già oggi riciclano e quelle agricole che possono beneficiare di nuovi input interni per le loro produzioni (compost, materie prime seconde).
Foto di Roberto Cavallo
Perché in fondo l’economia circolare in una situazione di blocco è più comprensibile e valorizzare i rifiuti consente di essere un pochino, fore solo un pochissimo più resilienti e di dare fiducia e speranza in un futuro anche solo a qualcuno. Perché qui credere in un sogno o in un progetto è ancora più importante, e soprattutto credere in qualche cosa di concreto, possibile e fattibile a Gaza.

Emanuela Rosio

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