Campagne per la sostenibilità: la Top Ten del 2014

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di Maurizio Bongioanni

Vi sarà capitato durante il 2014 di vedere il video in cui gli omini della Lego vengono inondati da un mare di petrolio. Oppure le foto di canoe targate “350.org”, il movimento per la sensibilizzazione al cambiamento climatico, remare intorno a enormi navi commerciali. Oppure ancora, di vedere persone vestite da api andare in giro per informare la popolazione sui pericoli legati ai pesticidi.
Queste sono solo alcune delle campagne informative sui temi della sostenibilità che The Guardian ha classificato in una speciale graduatoria in base al grado di efficacia che tali campagne hanno avuto perseguendo il proprio obiettivo.

Al primo posto senza ombra di dubbio, secondo il quotidiano britannico, c’è la campagna di Greenpeace “Everything is NOT awesome” nel cui video (il più visto nella storia del gruppo ambientalista) si possono vedere i personaggi della LEGO annegare in un mare di petrolio. L’oggetto della campagna? Il partenariato tra la Lego e la compagnia petrolifera Shell. Una campagna dalla grande “capacità creativa” – scrive il Guardian – dove a essere vincente è stato “il collegamento emozionale tra cambiamento climatico e generazioni future, coinvolgendo la LEGO, da sempre un marchio legato ai bambini”. L’efficacia di tale campagna ha raggiunto il suo culmine quando il noto marchio di mattoncini per bambini ha annunciato in ottobre che non avrebbe rinnovato la sua partnership durata oltre 50 anni con la Shell.

Un’altra campagna molto efficace è stata quella del movimento 350.org contro le emissioni di carbone. In particolare un gruppo di “guerrieri del clima” sono partiti da 13 isole del Pacifico e hanno raggiunto l’Australia su piccole imbarcazioni artigianali (per aumentare la consapevolezza dell’impatto che l’industria dei combustibili fossili ha sulle abitazioni degli isolani e i loro mezzi di sussistenza (video) Con lo slogan “Non stiamo affondando, stiamo lottando” hanno remato fino al porto dove si tiene il più grande commercio di carbone al mondo con l’intento di fermare le esportazioni per un giorno. Riuscendoci.
La campagna di disinvestimento crescente dalle fonti fossili più veloce in assoluto è stata quella il che movimento 350.org ha messo in moto quest’anno negli USA e che ha portato la Rockefeller Brothers Fund a ritirare i propri investimenti dai combustibili fossili. La campagna ha preso piede negli Stati Uniti con Bill McKibben impegnato in un giro di conferenze. L’attivista ha girato gli USA in autobus e in ogni sede è stato raggiunto da artisti, attori e musicisti, i quali hanno coinvolto il pubblico attraverso un mix di musica, applicazioni interattive, video e discussioni. La campagna ora sta avendo successo in Europa dove l’Università di Glasgow è già stata la prima istituzione accademica ad annunciare che cederà i propri investimenti. L’accademia è stata seguita dalla Diocesi di Oxford, diventata la prima istituzione religiosa a fare una scelta del genere.

Il ruolo delle api nella biodiversità è l’oggetto della campagna degli “Amici delle api”: iniziata nel 2012 ha segnato una vittoria notevole nel Regno Unito nel 2014, quando il governo britannico ha annunciato il lancio della strategia su scala nazionale “Pollinator”, ovvero un piano di 10 anni per aiutare le api a sopravvivere e prosperare. Negli ultimi anni molta attenzione è stata dedicata alla situazione delle api e alla loro perdita di habitat a causa dei pesticidi utilizzati in agricoltura. Accanto a tattiche di campagna tradizionali, il gruppo di animalisti ha fornito anche consigli pratici per la creazione di spazi ape-friendly e ha chiesto ai sostenitori di impegnarsi a fornire cibo, acqua e spazi di nidificazione per le api.

La classifica procede con la Peoples’ Climate March organizzata a livello globale da Avaaz che ha avuto il merito di far scendere in piazza anche alcuni importanti leader di grosse compagnie – tra cui IKEA, Unilever, Ben&Jerry’s, NRG – i quali si sono uniti fisicamente alla marcia. Addirittura la catena Patagonia ha chiuso le sue filiali permettendo agli impiegati di unirsi alla manifestazione come ha fatto lo stesso CEO Rose Marcario. Poi c’è la campagna di Oxfam Dietro i marchi che ha “obbligato” aziende alimentari quali Kellogg e General Mills a migliorare le proprie pratiche di produzione in un’ottica di maggiore rispetto dell’ambiente. Oppure ancora WWF-UK che, grazie il suo intervento nella campagna “Salviamo Virunga” in supporto alle comunità locali del più antico parco nazionale africano, in Congo, ha convinto la compagnia petrolifera Soco a cessare le sue attività esplorative nel parco. Infine la bella iniziativa di Platform London, convinta che l’arte non debba essere sponsorizzata dall’oro nero: con le sue performance all’interno della National Portrait Gallery di Londra – dove gli attivisti durante una collezione sostenuta dalla British Petrolium hanno esposto i loro ritratti con la faccia coperta di petrolio – il mondo della cultura si è posto per la prima volta il problema della provenienza dei suoi finanziamenti (Art Non Oil)

La sostenibilità passa anche dai diritti umani. E da quelli di genere. Con la campagna “Lasciate che i giochi siano giochi” un gruppo di genitori inglesi incontratisi virtualmente sul forum Mumsnet ha fatto pressione sul sistema di marketing per bambini – da sempre fondato su stereotipi  come ad esempio che il rosa e le bambole piacciano alle femmine mentre il blu e i supereroi ai maschietti – convincendoli a evitare etichette, appunto, di “genere”. Ottenuta una prima vittoria sui giocattoli, la campagna si è poi estesa alle case editrici per bambini: nel mese di novembre Dorling  Kindersley, Chad Valley e Miles Kelly Libri hanno confermato l’eliminazione delle etichette “per ragazzi” e “per ragazze” dai nuovi titoli.

Il 24 aprile 2012, un edificio che ospitava cinque fabbriche di abbigliamento in Bangladesh è crollato uccidendo 1138 persone e ferendone più di 2000. Molti dei grandi marchi i cui prodotti sono stati fabbricati al Rana Plaza hanno dato un contribuito al fondo ufficiale di compensazione per i sopravvissuti e le loro famiglie. Matalan era l’unico grande rivenditore britannico a non aver donato nulla, fino a quando il gruppo “38 gradi” non ha lanciato la campagna #PayUp. In seguito alle pressioni Matalan ha annunciato prima di aver versato del denaro al fondo di compensazione ufficiale, e dopo è stata costretta anche a divulgarne l’importo.

Naturalmente esistono numerose altre campagne che meritano di essere citate. Secondo voi ce n’è qualcun’altra che avreste voluto in questa top ten? Segnalatecela!

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