Coltivare la città

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di Alessio Sciurpa

Lo sviluppo dell’agricoltura di prossimità nelle arie urbane e peri-urbane, il diffondersi di giardini pensili e orti verticali tra gli altri, sono alcuni dei sintomi che sottendono al bisogno insito negli abitanti delle grande aree urbane di recuperare un contatto con la natura, l’agricoltura e con la genuinità del cibo che ad esse è legata. Come già sottolineava Lester Brown nel suo Piano B 3.0, così Andrea Calori nel suo “Coltivare la città, giro del mondo in dieci progetti di filiera corta” da voce a questa tendenza, raccogliendo per la prima volta in un unico volume esperienze di agricoltura urbana provenienti da varie parti del mondo, alcune recenti altre in essere da anni. Che cosa accomuna un immigrato del Bronx, una donna di un sobborgo di Osaka, una contadina senegalese, un panettiere della ricca Monaco di Baviera e un autista venezuelano?
Ciascuna di queste persone è protagonista di storie legate al cibo. Ognuna appartiene a gruppi e comunità che, in modo più o meno formalizzato, si sono organizzate per vendere o acquistare prodotti alimentari che vengono consumati vicino ai luoghi di produzione.

Il libro racconta esperienze che nascono in contesti diversi con diverse modalità di sviluppo legate da un unico filo conduttore. Quanto tempo ha richiesto la stesura di questo lavoro e da dove nasce l’idea?
La stesura del libro in sé è stata rapidissima, ma questo è stato possibile perché abbiamo alle spalle circa quindi anni di lavoro sul tema del rapporto tra città e campagna, attraverso attività radicate nella ricerca universitaria all’interno del Politecnico di Milano e legate alla partecipazione al mondo dei movimenti e delle reti sociali. In particolare dall’anno 2000 abbiamo avviato ricerche relative a iniziative cittadine o istituzionali partecipate con forti ricadute in campo ambientale, sociale ed economico e capaci di produrre nella pratica politiche di sviluppo locale auto-sostenibile. Da queste abbiamo approfondito quelle esperienze di filiere agro-alimentari corte-locali che coinvolgono e danno nuovo impulso all’agricoltura periurbana. Altreconomia, che conosce bene il nostro lavoro, ci ha così proposto di scrivere un testo, dal momento che sul tema non esistono pubblicazioni. La stesura del libro in sé ha richiesto tre mesi di lavoro a tempo pieno, durante i quali abbiamo prima selezionato i progetti per noi più significativi, per poi ricostruirli il più possibile nei dettagli, anche intervistando direttamente i protagonisti. Da ultimo abbiamo cercato di raccontare i progetti scelti tramite vere e proprie storie, con l’intenzione di renderli accessibili a tutti, anche a chi non si occupa del tema della filiera corta agroalimentare dal punto di vista accademico.

Perché parlare di valorizzazione delle realtà agricole e di prossimità oggi?
Innanzitutto per ristabilire le giuste proporzione: il mercato globale ci ha fatto credere che il mondo intero si nutra attraverso un modello di monocolture intensive la cui produzione è estremamente distante -in termini temporali, spaziali e commerciali- dal momento del consumo; ma i dati, per esempio FAO, raccontano una storia diversa, nella quale con il lavoro delle piccole aziende agricole famigliari e con modalità associabili a quelle della filiera corta si sfama un terzo della popolazione mondiale, con punte che arrivano al 90% nel caso della popolazione africana. In secondo luogo, perché a noi sta particolarmente a cuore la realtà milanese, che grazie alla presenza di un parco agricolo periurbano, offre, in termini di filiera corta, opportunità insperate: solo per citarne una, la possibilità concreta di contrastare la pervasività dell’ambito urbano, che mette a rischio la stessa presenza delle aree agricole.

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